digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

grenadirmars
Slovenia, 16 novembre 2009, Yvert 675
 
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Dalla valle della Sava e dalle tradizioni nate nel XIX secolo intorno alla nascente industria mineraria legata all’estrazione del carbone, del quale la regione è particolarmente ricca, vengono i due piatti che figurano in effige al nostro francobollo. Due ricette che più semplici e povere non si può, ma che sono indissolubilmente legate, a partire dal loro nome, al particolare momento storico che abbraccia un intero secolo, dai primi anni dell’800 fino alla Prima Guerra Mondiale.

Ma procediamo con ordine, cominciando da una semplicissima frittata: un uovo, un po’ di latte e farina per addensare il tutto. Non era cosa da tutti i giorni nelle case dei minatori, perché le uova costavano, ma quando c’era la possibilità di farsi una frittata era una mezza festa. E poi quel bel cerchio dorato, che a volte scendeva anche in miniera per essere consumato nelle pause del lavoro, metteva allegria perché ricordava il sole.

E di quel sole che i minatori raramente vedevano passando le loro giornate a scavare o, se avevano fatto il turno di notte, a recuperare il sonno perso scavando, alla fine la frittata ha finito col prendere il nome: knapovsko sonce, il sole dei minatori. La chiamavano così, e quel nome, nella regione della Sava centrale e nella tradizione culinaria della Slovenia, si è tramandato fino ai giorni nostri.

Un altro piatto che tornava spesso sulle tavole dei minatori, decisamente più economico e quindi più comune, era una sorta di semplicissima minestra di patate: una volta cotta la pasta (di grano tenero, il più coltivato nella regione) la si condiva mettendola in una padella dove stavano rosolando cipolle e patate affettate finemente, completando così la cottura, con quella che oggi definiremmo una “risottatura”, fino ad ottenere una specie di pastasciutta che probabilmente nessun italiano si degnerebbe di mangiare, ma capace di ritemprare e saziare i minatori sloveni… del resto, anche da noi, sono tanti quelli che la pasta “al dente” non riescono proprio a mandarla giù…

La minestra di pasta e patate, grazie all’economicità e alla reperibilità dei tre ingredienti principali, non era però solo destinata alle tavole dei minatori, ma costituiva anche parte integrante del rancio della bassa truppa dell’impero Austro-Ungarico, del quale la Slovenia era parte, ed è proprio nell’esercito che ha trovato un quarto ingrediente ed un nome.

Bisogna però arrivare agli inizi del XX secolo e spostarsi un paio di centinaia di chilometri a ovest, verso il confine con l’Italia, che nell’ottobre del 1917 era attestato lungo le sponde del fiume Isonzo, dove le truppe italiane e quelle austro-ungariche si fronteggiavano da mesi in una sanguinosa guerra di posizione segnata da quelle che sono ricordate come le Undici Battaglie (appunto) dell’Isonzo.

Per sbloccare la situazione il comando austriaco chiese l’aiuto della Germania, e il potente alleato tedesco arrivò: con le sue armi, le sue divisioni, i suoi generali (tra i quali un giovanissimo tenente Rommel) e i suoi… vettovagliamenti. E quando i soldati, in massima parte di etnia slovena, che tenevano le posizioni di fronte alla cittadina di Kobarid cominciarono a vedersi servire la solita minestra di patate resa più sostanziosa da qualche fettina di pancetta capirono subito che si preparava un'offensiva.

All’alba del 24 ottobre infatti le truppe austriache e tedesche attaccarono, sfondando il fronte a Caporetto (nome italiano di Kobarid) e mettendo in rotta l’esercito italiano, costretto in pochi giorni a ripiegare fino al Piave, distante dall’Isonzo ben 150 chilometri.

Una disfatta disastrosa per gli italiani, una marcia trionfale per gli austriaci... e pare che proprio in ricordo di quella vittoria la vecchia pasta e patate dei minatori, arricchita dalla pancetta dei tedeschi, sia stata ribattezzata grenadirmars, la marcia dei granatieri.

 

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