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KAJIADO-NAMANGA |
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Gustavo Cavallini | ||||||||||||||
C’erano prigionieri italiani addetti alla costruzione della strada Nairobi-Kajiado- Namanga –Tanganyika. Scritta gigante sulla roccia I prigionieri inviati a riparare strade o costruire ponti vivevano in accampamenti volanti.
Sulla parete si legge: BENVENUTO
SVELATO IL MISTERO DI LONGIDO La signora Annamaria Alfieri, con intuito e persistenza, ha finalmente risolto il mistero della grande scritta sulla parete di roccia in prossimita’ di Longido in Tanzania. Ha interessato il giornalista Andrea Tortelli di Brescia, che si e’ recato nel Comune di Paratico sul Lago d’Iseo dove ha rintracciato le figlie dell’autore della scritta, Elia Benvenuti. Le figlie non sapevano nulla della scritta lasciata dal padre in Africa. La storia e’ stata pubblicata dalla rivista Old Kenya, con una una foto del militare motociclista. Rientrato in Italia nel 1946, sposatosi, è voluto tornare a lavorare nelle cave di pietra per cui Paratico e’ nota. E’ deceduto prematuramente nel 1964. La notizia pubblicata in Kenya nel 2018 ci era sfuggita, e ci e’ stata segnalata, solo ora dalla Svezia, dal signor Lars Asker, che ringraziamo.
IL PONTE DI NAMANGA Ringraziamo il sig. Ivo Galfre’ che ci ha procurato queste fotografie del ponte sulla vecchia strada per la Tanzania, costruito dai prigionieri italiani del Campo 361 A di Kajiado nel 1943. Dopo 75 anni anche questa solida costruzione ha bisogno di un intervento, che il sig. Galfre’ si e’ offerto di fare a proprie spese. E’ in attesa dell’OK delle autorita’.
Il sig. A. Chemello ci invia queste interessanti notizie relative al campo 361 di Kajiado. Athi River è un villaggio presso cui era allestito un grosso campo dove erano concentrati i prigionieri italiani destinati alla costruzione della “strada degli italiani” (così ancora oggi chiamata dai vecchi kenioti) che collegava Nairobi con la frontiera del Tanganyka. Mio zio Antonio Parise, già cavalleggero presso i Cavalieri di Neghelli ad Addis Abeba nel 1939-1941, vi era giunto in prigionia. Dato che era un valente muratore, aveva seguito l’evoluzione della strada sino a Namanga, dove aveva contribuito alla costruzione del ponte e degli altri innumerevoli manufatti disseminati lungo la strada. Si ricordava bene del ponte di Namanga perchè in quei giorni aveva perso un dente del giudizio, lasciato quindi sul posto (ho lasciato il giudizio a Namanga..). Per la costruzione della lunga strada, l’amministrazione britannica aveva messo a disposizione dei valenti caterpillar per i lavori più pesanti, cosa per lui assolutamente nuova perchè precedentemente aveva partecipato alla bonifica dell’agro pontino e alla costruzione delle strade dell’AOI potendo utilizzare solo il badile e la carriola. Il trattamento non era male, ma il vitto era scarso, per cui di notte uscivano clandestinamente dal campo per mettere delle trappole per la selvaggina e tornavano sempre prima dell’alba con un buon bottino, costituito spesso da intere zebre. Per questo motivo tra il 1942 ed il 1945 aveva potuto mangiare carne fresca quasi tutti i giorni; sicuramente come in nessun altro periodo precedente della sua vita. Il lavoro nel cantiere veniva sospeso la domenica, quindi i prigionieri più affidabili potevano raggiungere liberamente Nairobi ed andare dal barbiere o a visitare i postribili locali. In modo particolare, lui che era di Cavalleria, aveva un trattamento di riguardo e spesso gli veniva concesso di montare un quadrupede negli spostamenti. Oltre che per i manufatti, questa “strada degli italiani ” è ancor oggi facile da riconoscere, perchè è costruita su una spessa massicciata di grosse pietre. Queste venivano posizionate dai prigionieri a mano, collocate opportunamente in modo da riempire tutti gli interstizi. Se lei percorre la strada da Nairobi verso Kitengela, se ne potrà facilmente rendere conto. Le strade coloniali inglesi venivano invece realizzate alla spicciolata, spostando il terreno con i buldoozer e compattandolo con i rulli compressori. Non è che i britannici mancassero di ingegno, ma era evidente che non intendevano fare alcun investimento infrastrutturale nei propri possedimenti coloniali, se non quelli indispensabili per esportare le materie prime verso la madrepatria (ferrovie). Durante il periodo di prigionia, mio zio non ha mai accusato gravose difficoltà nemmeno con le guardie britanniche. Aveva imparato il ki-swahili e si muoveva con disinvoltura nel piccolo commercio clandestino. Non ha mai legato con nessun britannico e si è astenuto da ogni credo politico, pur essendo lui di animo socialista. Durante quegli anni non ha mai sofferto nemmeno di un attacco di malaria… In parole povere, era un colono perfetto! Un altro ponte Solo nel 2021 siamo venuti a conoscenza di questo secondo ponte costruito dai prigionieri italiani nel pressi di Namanga, grazie ad un articolo di Andrea Cionci , citato in Bibliografia. Sempre nel corso della conferenza un ingegnere dei lavori pubblici ha segnalato, e poi fornito le foto, di quest’altro ponte costruito sulla strada Athi River-Namanga, a Bissil 60 km prima di Namanga.
Gustavo Cavallini | ||||||||||||||