Lontano dalla trafficata autostrada Nairobi-Nakuru, si trova la tranquilla cittadina di Gilgil, non lontano dalla Rift Valley e dagli Aberdares. Gilgil ha guardato in silenzio i soldati di tutte le razze passare per le sue strade polverose da quando il primo gruppo di 400 soldati indiani si accampò temporaneamente nel 1897. Stabilirono la base a Gilgil durante il viaggio da una missione in Sudan dove erano andati per aiutare gli inglesi a sopprimere Mohammed Ahmad Ibin Abdalla dopo che lui e i suoi uomini si erano ribellati contro il loro dominio da parte degli egiziani per conto degli inglesi. Questi soldati furono i primi ad essere incorporati nell'esercito quando il Kenya divenne prima un territorio e poi una colonia. Ma il carattere della città da base prettamente militare a campo di detenzione iniziò durante la prima guerra mondiale nel 1914 e vide il confino dei prigionieri di guerra italiani catturati in Somalia, durante la seconda guerra mondiale.
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Il campo 353 di Gilgil ospitava 250 prigionieri italiani, tra i quali c’erano molti operai specializzati. Sono loro che hanno costruito i ponti sui fiumi Malewa e Moridat, che sono ancora in uso, pur essendo stati riparati con opere di manutenzione ordinaria. Hanno anche costruito strade asfaltate e asfaltato il campo per le esercitazioni militari della caserma di Gilgil. Si può concludere che i prigionieri italiani hanno contribuito allo sviluppo attuale della città di Gilgil costruendo l’infrastruttura che forma la base di quella attuale. (Dalla Relazione Melis)
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A fine 1941 arriva nel campo di Gilgil Giuseppe Scannella, siciliano di Campofranco in provincia di Caltanissetta.
“Entrare in questo enorme campo di prigionia N° 353 di Gilgil, ci fa una certa sensazione perché non immaginiamo ancora il sistema di vita e le condizioni ambientali cui saremo sottoposti né tantomeno la durata di tale stato di privazione della libertà. La prima cosa che si nota è senz’altro costituita dalle dimensioni veramente eccezionali: qui trovano posto ben 4.000 prigionieri distribuiti in tre campi riuniti, separati soltanto da un semplice reticolato. Di questi, il primo è il più in vista, mentre il terzo, essendo su un piano sottomesso rispetto agli altri due, è il più defilato e poco visibile. Ogni campo presenta un numero imprecisato di baracche, all’interno delle quali ci sono gruppi di due letti sovrapposti a castello; per sopperire poi alle necessità più gravi o urgenti, c’è anche un complesso ospedaliero suddiviso in due sezioni: quella gestita da personale italiano e l’altra da personale inglese. Io vengo assegnato al Campo N°1 – Baracca n°78, dove scelgo subito il letto inferiore vicino all’ingresso. Preso posto, immediatamente slaccio le scarpe troppo strette per i soldi nascosti, che trovo tutti bagnati di sudore ma per fortuna non rovinati. Mentre sistemo il tutto alla meglio, veniamo chiamati per il rancio: una cucchiaiata di riso con un po’ di verdura, 2 patate, 2 pezzettini di carne ed una fettina di pane.”
Osservatore attento descrive persone e avvenimenti con precisione fotografica, senza pregiudizi, e senza mai perdere la sua dignità. Protesta presso il comandante del campo perchè gli erano stati sottratti dalle guardie alcuni orologi e li rivuole. “Ma come osa darci dei ladri – gli fa il comandante.” “Lo dico perchè è vero” e ottiene di essere rimborsato.
Nel campo riprende la sua professione di orologiaio e perfino gli ufficiali inglesi gli affidano i propri orologi. Fa un prestito a un prigioniero siciliano che non conosce; il padre di quest’ultimo lo rimborserà alla sua famiglia.
Giuseppe Scannella scrive di una chiesa costruita dai prigionieri nel Campo No. 2 di Gilgil e descrive un bassorilievo in legno scolpito da lui e raffigurante un Cristo morente. L’opera, esposta alla Mostra Nazionale del Kenya nel 1943, riceverà il 1° Premio. Successivamente scolpirà una Madonna di Lourdes, aiutato da un compagno di prigionia, Vincenzo Di Lena da Mussomeli.
Le opere sono riprodotte nel suo libro Memorie d’Africa.
Le sue memorie sono apparse a puntate sul mensile “ La Voce di Campofranco”.
Dopo l’8 settembre 1943 a Gilgil l’80 per cento dei prigionieri si dichiarò fascista e per questo viene considerato un campo punitivo.
La rivista Old Africa N. 89 (giugno-luglio 2020) riporta una lettera di Geoff Nightingale, che ricorda il vecchio circuito di Gilgil chiamato Langalanga (in Masai “in giro in giro") dove negli anni Cinquanta si svolgevano corse di auto e moto. La strada, scrive, correva lungo un lato del vecchio Campo di Prigionieri di Guerra. Il circuito è stato chiuso nel 1956 a seguito di un incidente mortale, e successivamente spostato, con lo stesso nome, nei pressi del lago Nakuru.
CORRISPONDENZA DA GILGIL
Gilgil, 29 marzo 1943
Miei cari,
come sempre la salute è ottima, il trattamento fattoci dal nemico è soddisfacente, non state in troppo pensiero per me, perché anche alla peggior delle ipotesi dovesse durare ancora a lungo, saprò come in passato, cavarmela col miglior dei modi; col lavoro. In questo periodo vi giungono al campo molte richieste di operai agricoli, cercherò il modo con cui essere impiegato anch’io, così sperò migliorerò le condizioni già buone. Come vi ho già accennato avrei piacere che Luigi si sposasse prima della fine di questa guerra, per tanti scopi, che bene immaginate; se le condizioni non glielo permettono, l’aiuto non gli manca (restituendolo). Per ora non mi resta che di salutare tanto gli amici e Baroni con Bianchi. Auguri.
A voi tutti uniti un fervido abbraccio.
Vostro aff.mo Nino
SITOGRAFIA
https://it.wikipedia.org
https://miles.forumcommunity.net
https://www.standardmedia.co.uk
https://site.prigionieriinkenia.org/i-campi-di-prigionia-in-kenia/
Gustavo Cavallini
08-08-2023 |