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NDARUGU: il campo e le corrispondenze |
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Gustavo Cavallini | ||||||||||||||
Tra il 1941 e il 1946, un totale di 55.000 prigionieri di guerra italiani (POW) furono detenuti in 11 campi sparsi in tutto il Kenya, superando di gran lunga i 21.500 sudditi britannici qui stabiliti. Un campo fu stato allestito a Ndarugu, situato tra le città di Thika e Juja, a circa due chilometri a est dell'autostrada principale. Il campo numero 360 si trovava nella piantagione di Ndarugu, un'estesa azienda mista di caffè e latticini di proprietà di un colono britannico. Il campo ospitava circa 10.000 prigionieri di guerra, un gran numero per tutti gli standard, e lavorarono in questa e in altre fattorie circostanti senza alcun costo per i proprietari. Oltre al lavoro nelle piantagioni, una parte si dedicò all’ ampliamento della Chiesa locale. L'edificio fu completato nel 1942 ed è costruito con pareti in pietra levigata, con giunti di malta a filo sotto un tetto in lamiera grecata zincata, poggiante su capriate in legno. Le pareti interne sono lisce intonacate e dipinte di bianco brillante nel salone principale e crema nell'abside. Le finestre sono realizzate in vetro colorato, in ante in acciaio appese a telai di legno ad arco, mentre le porte sono di pannelli di legno a sporgere e rinforzati supportati da telai ad arco incassati e splendidamente realizzati a mano. C'è anche un pilastro di pietra in stile commemorativo vicino alla chiesa. La chiesa è relativamente ben tenuta ed è ora sotto la gestione della Chiesa presbiteriana dell'Africa orientale (PCEA). Il luogo e la Chiesa è stato “riscoperto” dal Sig. Aldo Manos nel 2007, con la chiesa e il monumento costruiti dai prigionieri quasi intatti e nel 2011 sono stati catalogati dal governo come “monumenti della storia del Kenya”. IL CAMPO DI “NDARUGO” NELLE MEMORIE DI PADRE GRAZIANI Ai primi di aprile del 1944, di mattina, il Comandante inglese mi chiamò, Padre: mi disse, si prepari perché a tarda sera, deve partire per il Campo N. 360 “Ndarugo”, a sud di Nairobi, per attendervi all’assistenza religiosa. Sotto scorta, la sera, partenza per il campo 360. Alle 11 del giorno dopo, ero a Nairobi, capitale del Kenya, alta sul mare 1670m. in posizione incantevole, abbondante di flora e di fauna. Vi sostai tre giorni, prima di raggiungere il Campo, nel quale, poi, rimasi fino al 6 giugno 1944. Al comando inglese, incontrai il Gen. Tamagnini, che mi chiese, se avevo ordini dal Comando Clandestino Italiano di Eldoret, e che si diceva di lui. Non mi sono stati dati ordini da recapitare, né ho sentito dicerie sul suo conto, dissi. Nel campo, poi, trovai il Capitano Fois, il Maggiore che scagionò, il P.Igino del Ferro, dall’accusa di disertore, l’amico Grandana di Todi, il dottor Pasquale Ferdinando di Pietracatella e tanti altri. Il campo era ripartito in 5 sezioni, ognuna con duemila uomini, l’ospedale e un piccolo Campo di segregazione, per prigionieri speciali. Il campo N. 360 “Ndarugo”, è posto poco al di sotto dell’Equatore, su di una amena collina, circondata da meravigliose piantagioni di caffè, cotone, agave, granturco e fiori variegati, dai colori intensi. Alle sue falde scorre un fiume, sulle cui rive erano disseminate una trentina di capanne, abitate da gente di grande corporatura, con naso schiacciato, e grosse labbra sporgenti. L’aria vi è purissima. In mattinata si faceva scuola agli analfabeti, nel pomeriggio si giocava a pallone tra le squadre delle varie sezioni. Ogni sezione disponeva di un capannone, per trattenimenti teatrali e ricreativi, e di una cappella, nella quale, ogni mattina si celebrava la messa. La messa domenicale era spesso accompagnata da violini e fisarmoniche, che i prigionieri si erano costruiti con le proprie mani. Nelle solennità e nei primi venerdì del mese, molti si confessavano. Era sempre uno spettacolo di fede. La sera, dopo la recita del rosario, cantavamo alla Vergine, la canzone: “Solcammo un mare infido”, e lacrime silenziose scendevano dai loro occhi, nel ricordo dei cari lontani, ignari della loro sorte. In questo campo, grazie al cognome, ritrovai nel giugno 1942, un mio paesano, che non vedevo da 17anni: Bacci Giovanni. D’indole mite, lo presi come attendente. Era mutilato. Egli rimpatriò nel settembre 1943, con la nave malati e mutilati. Io, invece, dovetti seguire 10.000 prigionieri in Inghilterra.
Bruno FINI ricorda: Alloggiavamo in baracche di tela di iuta incatramata, sopra brandine a castello fatte con pali di bambù e rete di corda ma durante la notte non si riusciva a dormire a causa dell’invasione di pulci, pidocchi ed altri scarafaggi.” Fonte :
CORRISPONDENZA DA NDARUGU
Ringraziamo Giorgio Migliavacca per la consulenza, il materiale e le didascalie. BIBLIOGRAFIA Migliavacca Giorgio - Italian Prisoners of War and Internees in Africa – Nuova edizione ampliata 2014 con ampia bibliografia, nuove illustrazioni di pezzi inediti. Una nuova edizione è in programma per il 2025. Weisbecker, Walter – Camp Mail of Italian Prisoners of War & Civilian Internees in East Africa 1940-1947. G. Migliavacca, nuova edizione ampliata, St. Thomas, VI, USA, 2006. (Migliavacca Editore) Migliavacca, Giorgio – Gli italiani prigionieri di guerra in Africa Settentrionale 1942-1946: Tunisia, Algeria, Marocco – Les prisonniers de guerre italiens en Afrique du Nord pendant la Deuxieme Guerre Mondiale. St. Thomas, VI, USA, 2012. Gustavo Cavallini | ||||||||||||||