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La posta dei prigionieri di guerra

I DIMENTICATI
(prigionieri di tutti)

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I DIMENTICATI (Prigionieri di tutti)

Gustavo Cavallini

ABSTRACT

Con questa nuova scheda, nata per Arezzo e la sua storia, ma, espandibile a tutti coloro che hanno materiale collezionistico relativo ai prigionieri di guerra, non ha certamente la pretesa di riscrivere nuove pagine di storia, vuole solamente integrare la ricerca e cercare di incuriosire tutti i nostri Amici lettori. Come punto di partenza, prendiamo il 10 giugno 1940, data della Dichiarazione di Guerra a Gran Bretagna e Francia, fino ad arrivare al 1952, quando sembra che siano rientrati gli ultimi prigionieri dalla Russia.

Nel teatro di guerra dell’Africa settentrionale, la controffensiva britannica in Cirenaica, iniziata da Sidi-el-Barrani l’ 8/12/1940, si conclude 10 settimane dopo a Beda Fomm. L'Operazione Compass è stata un'offensiva sferrata l'8 dicembre 1940 dalle forze armate britanniche della Western Desert Force in Nordafrica per ricacciare oltre il confine con la Libia le forze italiane che nel settembre 1940 erano lentamente penetrate in Egitto senza incontrare resistenza. La controffensiva vide contrapposti circa 31.000 soldati britannici, quasi completamente motorizzati e addestrati alla guerra di movimento, all'intera 10ª Armata del maresciallo Rodolfo Graziani, forte di oltre 150.000 uomini, disposta tra Sidi Barrani, Bir Sofafi e Bardia. La campagna, iniziata come un attacco locale della durata prevista di circa cinque giorni, a causa dell'abilità di manovra delle forze britanniche e della inefficace e disordinata difesa italiana si trasformò in un'offensiva generale che, dopo due mesi e quattro battaglie campali (Sidi Barrani, Bardia, Tobruch e Beda Fomm), si concluse con la totale disfatta delle forze del maresciallo Graziani e la vittoria delle moderne unità motocorazzate britanniche, che conquistarono interamente la Cirenaica, annientarono la 10ª Armata e catturarono circa 115.000 soldati italiani.

 

L’esito della battaglia è ben descritto da queste due dichiarazioni:

«Italiani terrorizzati, storditi o disperati irruppero dalle tende e dalle trincee, alcuni per arrendersi supinamente, altri per gettarsi valorosamente alla mischia, lanciando bombe a mano o facendo fuoco nel futile attacco degli impenetrabili nemici»

(Tenente colonnello G.R. Stevens, 4ª Divisione indiana)

«Il campo di battaglia era infestato da un'armata meccanizzata contro la quale non avevo mezzi»

(Generale Gallina a Sidi Barrani)



Colonna di prigionieri italiani dopo la battaglia di Sidi el Barrani

Eloquente è poi il messaggio finale inviato per comunicare la vittoria totale ottenuta sulle forze italiane in ritirata:

«Fox killed in the open»
«Volpe uccisa a cielo aperto»

(Messaggio del generale O'Connor al Comando inglese al Cairo il 7 febbraio 1941).

La campagna costa all’Italia 12.000 morti e circa 130.000 prigionieri, di cui 67.000, dopo una breve sosta in
Egitto, Sudan e Palestina sono trasferiti in India, a questi si aggiungono circa 1.000 prigionieri italiani fatti in Africa Orientale Italiana, dopo la resa di Gondar del 27 novembre 1941.

Nel susseguirsi delle campagne militari e degli eventi storici il numero dei prigionieri è salito a circa 600.000 unità.

Già, ma il fatto che deve far riflettere è che dal nemico dichiarato, Gran Bretagna e Francia, si susseguono altre nazioni, per concludere con l’ex alleato tedesco.

Prima dell’8 settembre 1943, oltre le sconfitte militari italiane in Africa, anche quelle in Unione Sovietica e in Sicilia avevano prodotto un elevato numero di prigionieri.

Secondo fonti attendibili, i soldati catturati dagli Inglesi in Africa settentrionale e in Etiopia furono circa 250.000, quelli presi dagli Americani in Tunisia e in Sicilia 110.000. Infine, vi furono gli oltre 40.000 militari lasciati ai francesi in Tunisia e nell'autunno del 1943, circa 800.000 soldati italiani vengono catturati e disarmati dai tedeschi. Si trovano in patria o all'estero, tra Iugoslavia, Francia, Albania, Grecia e isole dell'Egeo, Polonia, paesi baltici e Unione Sovietica. Di questi, circa 600.000 mila finiscono, dopo viaggi interminabili in nave (non poche sono quelle che affondano) e nei famigerati vagoni piombati, nei campi di prigionia tedeschi in Germania, Austria ed Europa orientale.

Il regime nazista non considera i nostri soldati catturati come prigionieri di guerra, ma li classifica presto come “internati militari italiani” (IMI), privandoli così delle tutele garantite ai prigionieri dalla Convenzione di Ginevra, sottraendoli alla protezione della Croce Rossa Internazionale e obbligandoli al lavoro. È il lavoro per il Reich, infatti, l'obiettivo principale della politica tedesca nei confronti degli italiani catturati, un lavoro che verrà svolto in condizioni disumane, in totale spregio delle norme di guerra e di quelle umanitarie.

Lo stesso avverrà anche nei campi degli alleati, infatti i prigionieri vennero utilizzati come manodopera a basso costo. Tant’è vero che, anche dopo l’armistizio, gli italiani, salvo alcuni gruppi di ufficiali, non vennero affatto liberati. L’unica conseguenza fu la richiesta rivolta loro di firmare una generica adesione alla guerra contro il nazi-fascismo e a diventare “cooperatori”, cioè leali collaboratori nel lavoro prestato.

Per quanto riguarda il numero dei “cooperatori”, la percentuale degli accettanti fu di circa i 2/3, con differenze variabili da campo a campo.

In genere le condizioni di vita nei campi furono piuttosto accettabili, ad eccezione di quelli tedeschi, come detto sopra, e quelli francesi in Tunisia dove gli Italiani soffrirono la fame e vennero sottoposti al lavoro forzato e a vessazioni di ogni genere. Alla fine si contarono ben 3.000 decessi.

Gli italiani detenuti nei campi inglesi, pur vivendo situazioni migliori di quelli internati in Germania, erano considerati solo come manodopera a basso costo. Denominati con l’appellativo dispregiativo di “Wops”, derivante dall’anagramma di “Pows” (“prigionieri di guerra”) e dalla trasposizione inglese del termine “guappo”, anche dopo l’8 settembre non migliorarono molto la propria condizione.

Le autorità britanniche, infatti, si guardarono bene dal reclutare militari italiani per inviarli a combattere i nazifascisti, continuando a trattenerli per sfruttarli soprattutto nei lavori agricoli, dove erano considerati molto più affidabili degli altri prigionieri.

I militari italiani, inoltre, erano considerati con disprezzo e diffidenza dalla popolazione civile specialmente a causa delle relazioni che essi intrattenevano con le donne inglesi e sulle quali il governo di Sua Maestà fu tutt’altro che accondiscendente. Furono molte, infatti, le ragazze che, in stato di attesa, non poterono neanche ricorrere a eventuali “matrimoni riparatori” per l’opposizione delle autorità.

Sui prigionieri internati negli Stati Uniti, invece, vi è da precisare che molti di essi vennero ceduti agli americani dagli inglesi e francesi, in violazione della Convenzione di Ginevra che vietava il passaggio di prigionieri da una nazione alleata all’altra.

Le condizioni di questi militari italiani furono naturalmente molto diverse da quelli detenuti negli altri campi, tant’è che molti di loro conservarono un buon ricordo di quella esperienza. La prima fondamentale differenza fu sicuramente l’abbondanza di cibo.

Da ricordi e testimonianze appare, infatti, che i militari venivano riforniti di cibo e di ogni conforto, dalle scarpe al sapone, dalla schiuma da barba fino al dentifricio, dagli indumenti alle sigarette, senza dimenticare coca-cola e dolciumi. Addirittura non mancarono casi in cui, invece di aspettare pacchi da casa, erano i prigionieri stessi a mandare aiuti ai propri cari in Italia.

Sui militari prigionieri in Russia ci furono forti difficoltà per stimarne il numero. Da varie fonti si parla di 50.000 soldati rinchiusi nei campi sovietici di cui 27.000 morti. Furono circa 200.000 i soldati italiani partiti per la campagna russa: 11.872 morirono in azioni di guerra mentre i dispersi ammontarono a 70.275.

Dall’apertura degli archivi sovietici negli anni ’90 la ricerca ha tratto nuova linfa ed è stata anche redatta una mappa di cimiteri e fosse comuni con luoghi e cifre: Tambov (6.846 militari italiani), Kirov (1.136), Saratov (1.084), Ivanovo (922), Vladimir (928), Gorki (520) e Odessa (429).

Al di là delle condizioni generali di vita e sostentamento nei campi di prigionia, il “trattamento economico” spettante ai prigionieri di guerra della Seconda Guerra Mondiale, è quello regolamentato dalla Convenzione di Ginevra del 1929, per i paesi che l’hanno sottoscritta, che lo sancisce attraverso due articoli:

Articolo 23: I versamenti fatti ai prigionieri a titolo di retribuzione dovranno essere rimborsati alla fine delle ostilità dalla Potenza presso cui i prigionieri hanno prestato servizio.

Articolo 24: I soldi dovranno essere versati ai singoli prigionieri alla fine della prigionia. Durante la prigionia sarà concesso di trasferire somme alle banche o ad individui del paese d’origine.

La stessa Convenzione del 1929 prevede che i prigionieri ricevano, una volta al mese, la paga di un militare di grado equivalente dell’esercito che li aveva fatti prigionieri.

Ad alcuni prigionieri è richiesto di lavorare, più o meno forzatamente, nelle aree non direttamente coinvolte nel conflitto, per questo ricevono un piccolo compenso che a volte si tratta di buoni spendibili all’ interno dello spaccio del campo ospitante.

Il trattamento umanitario previsto dalla III convenzione di Ginevra del 1929 è il frutto di un negoziato fra stati che ha cercato di tenere conto di due esigenze diverse:

- sicurezza dello Stato che detiene il prigioniero;
- fedeltà al proprio paese del prigioniero.

Il prigioniero di guerra, infatti, non essendo cittadino della potenza detentrice, non è legato ad essa da alcun dovere di fedeltà, ma anzi come soldato è spesso vincolato al dovere di cercare di combattere per il proprio paese, pertanto, ad esempio, se il prigioniero tenta la fuga e non riesce a raggiungere le proprie linee, potrà essere punito solo disciplinarmente e non penalmente (se però nel tentare la fuga uccide o ferisce qualcuno o compie altri reati allora potrà essere perseguito penalmente in base alle leggi del paese dove è trattenuto).

I prigionieri possono essere internati in campi. Ai soldati semplici può essere assegnato lavoro manuale, ai sottufficiali lavoro di supervisione. Non è permesso assegnare lavoro agli ufficiali, a meno che loro stessi lo richiedano. I prigionieri non possono essere obbligati a lavori di carattere militare.

Ai delegati del Comitato internazionale della Croce Rossa è concessa la visita ai prigionieri senza testimoni.

Nella Convenzione di Ginevra del 1949, gli articoli che si interessano della gestione economica del prigioniero di guerra diventano ben 11 (dal l’art. 58 all’art. 68), fra gli altri l’articolo 60 prevede l’erogazione di un “soldo o pagamento” riparametrato in cinque categorie a seconda del grado ricoperto nella scala gerarchica militare.

Categoria I: Prigionieri di grado inferiore a sergente: otto franchi svizzeri;

Categoria II: Sergenti e altri sottufficiali o prigionieri di grado equivalente; dodici franchi svizzeri;

Categoria III: Ufficiali fino al grado di capitano o prigionieri di grado equivalente: cinquanta franchi svizzeri;

Categoria IV: Comandanti o maggiori, tenenti colonnelli, colonnelli o prigionieri di grado equivalente: sessanta franchi svizzeri;

Categoria V: Ufficiali generali o prigionieri di grado equivalente: settantacinque franchi svizzeri.

 



Gustavo Cavallini
12-04-2022