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carissimo ladro
Fabrizio Finetti

Coi tempi che corrono non c'è da meravigliarsi (né da rallegrarsi) che centocinquant'anni fa le cose andassero più o meno come oggi. Tasse ed esattori hanno cambiato nome (e neanche poi tanto, visto che la qui presente lettera è indirizzata all'agente delle imposte e tasse), ma nella sostanza svolgono sempre lo stesso ruolo, che l'immaginario popolare non fatica a paragonare a quello dei veri e propri malviventi.

Queste poche righe di commento non vogliono certo fare da apripista a un dibattito di carattere politico-economico sulla materia, né, tantomeno, essere apologetiche del contenuto esplicitamente violento (anche se grottesco) della lettera. Il testo del nostro minaccioso contribuente, pur nella sua anonima rozzezza, si presta anche a riflessioni di altro genere.

Nel campionario di orrori ortografici che contiene (che dire della povera, storpiata Genzia, scritta in maiuscolo, mentre cristo è minuscolo!), mi ha colpito, ad esempio, l'inserimento della parola reborbero, come arcaico tentativo di nazionalizzare il termine inglese revolver. Viene da chiedersi: ma queste forme di contaminazione linguistica, come riuscivano a penetrare ai livelli sociali più bassi?

E poi, il riferimento alla cronaca dell'epoca. L'espressione "siete un branco di ladri più di stoppa", apre uno spiraglio, improvviso, su un'importante pagina di storia che tante persone ignorano: quella del brigantaggio ottocentesco e dei suoi leggendari protagonisti.

Un'epopea assolutamente perduta, ma che, grazie alla storia postale, possiamo ancora, con sincero stupore, vedere e toccare con mano.

Buona lettura.

Poggibonsi 20 dicembre (1863?)

Carissimo Ladro
tu fusti avvertito con una satira che tu partissi e tu sei sordo ma di più ti assegno otto giorni a partire te e il resto che stanno allo studio perche siete un branco di ladri più di stoppa* che aspetti il premio te lo daro io bene che non giri di notte ti prometto che siemo due che se giurato avanti a cristo di non trovare piu giuda alla Genzia. deve finire tempo ladroni.
tu mi pai Ciarletano ma ti se conosciuto che sei un Birbante che a messo in lite tuta la Comune ti ripeto che tu parta te e quellattri tre birbanti quante te,

i saluti gli faro tra otto giorni con un reborbero caricato

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*    Enrico Stoppa fu un celebre brigante maremmano, nato il 18 luglio 1834 da Benedetto e da Marianna Giovannetti. A ventidue anni, nel 1856, uccise il norcino Gaspero Buoncristiani per derubarlo. L'anno precedente, per fare dispetto alla famiglia con la quale era in continuo dissidio, aveva condotta all'altare una prostituta, Ottavia Capacci.
Lo arrestarono insieme con il cugino Bernardino, ma furono costretti a rilasciarlo per mancanza di indizi attendibili. In realtà i testimoni preferirono tenere la lingua in bocca per non incorrere nelle sue vendette. Sospettando che questo o quello possano essere stati i confidenti della polizia, iniziò a commettere una serie così fitta di sequestri, di estorsioni, di omicidi da gettare la gente del paese e delle campagne circostanti nella più profonda costernazione. Uccise, in sei anni, una decina di persone.
Nel 1860 gli misero alle calcagna l'intero contingente militare di Grosseto (vedi il telegramma, per il quale ringraziamo Massimo Monaci). Ma "Righetto" abbandonò il teatro delle sue gesta dopo aver scritto al Prefetto circa l'inutilità dei suoi sforzi per catturarlo. Si firmò "Il Generale in Capo delle Truppe e Macchie di Talamone".
Lo arrestarono il 16 aprile 1862 nell'albergo romano "Tre Re", presso Porta del Popolo. Venne tradotto alle Murate di Firenze dove si lasciò morire d'inedia, il 16 agosto 1863, per non comparire alle udienze. Aveva soltanto 29 anni.
(Tratto da: Alfio Cavoli, Maremma amara. Ed. Scipioni)