|
|
Provincie Napoletane: i non emessi |
Stati Sardi: tipo quarta emissione |
Notare le differenze dei caratteri nelle scritte : ben più dettagliati e leggibili nella serie
non emessa e non accettata delle Provincie Napoletane, più impastate e confuse nell’emissione
regolare degli Stati Sardi.
Le testine sono decisamente differenti: notare la nuca e la fronte.
*********
I giovani collezionisti d’Italia sono oggi abituati a vedere su tutti gli album la serie
dei non emessi di Napoli, ma fino a venticinque anni fa questi francobolli erano
ignoti alla gran massa dei filatelici. Si deve probabilmente a questo l’incertezza sulla
catalogazione di essi, sostenuta anche dalla quasi assoluta mancanza di esemplari
usati, e dai diversi usi per cui erano stati proposti. Ma procediamo con ordine: per
questo bisogna anzitutto inquadrare i francobolli col momento storico nel quale apparvero,
o meglio dovevano apparire.
La campagna militare di Garibaldi, iniziatasi con lo sbarco a Marsala l’11 maggio
1860 poteva considerarsi trionfalmente terminata il 21 ottobre dello stesso anno,
con il plebiscito delle Provincie Meridionali, che si univano sotto lo scettro di Vittorio
Emanuele II. Per quanto il 17 marzo 1861 avvenisse la costituzione del Regno d’Italia,
per parecchie ragioni politiche si preferì che continuasse a reggere l’ex Regno
delle Due Sicilie una Luogotenenza, e ciò fino ai primi di novembre del 1862. Nel
campo postale durante questo periodo avveniva che, mentre esisteva una Direzione
Generale delle Poste Luogotenenziale, giungevano a Napoli funzionari della Direzione
di Torino, e quindi si avevano spesso disposizioni tra sè contrastanti: da uno di
questi contrasti appunto nacquero i francobolli di cui ci interessiamo.
Per quanto riguarda la stampa dei francobolli, solo verso il dicembre del 1860 si
smise di stampare, per evidenti ragioni, i valori della serie borbonica e si progettò,
come per le altre provincie, di mettere in circolazione i consueti francobolli sardi: ma
la difficoltà del computo delle tariffe tra « grana » e « centesimi » (per quanto fosse
stato fissato un rapporto di 5 grana ogni 20 centesimi) fece sì che un primo invio, già
effettuato di tali francobolli, venisse respinto.
In seguito a questo, il Barone G. Bellelli, direttore generale delle poste della
Luogotenenza, pensò di provvedere a far stampare in Napoli stessa francobolli per
gli usi locali, e si procurò tutto il macchinario necessario per la stampa dei nuovi
esemplari, comprese le tavole tipografiche dei singoli valori con la dicitura in centesimi,
dato che pensava si sarebbe presto addivenuti alla unificazione delle monete in
tutta l’Italia. Purtroppo per lui, questo avvenne solo l’anno seguente, e intanto l’amministrazione
di Torino stampava per il Napoletano i francobolli con il valore in grana.
Questi entrarono in circolazione il 1° marzo 1861 (per i valori da ½ tornese e 1, 2, 5
e 20 grana) o più tardi (½ grano e 10 e 50 grana).
L’intraprendente Barone pensò allora, per poter utilizzare il macchinario, di
scalpellare la dicitura in centesimi e sostituirla con quella in grana, ma vi rinunciò per
la mole del lavoro. A questo punto il dissidio tra il Bellelli e l’autorità centrale,
rappresentata in Napoli dal direttore compartimentale Vaccheri, entrò nella sua fase
più acuta: infatti egli comunicava a Torino una sua originale
proposta, di spedire cioè alla Direzione di quella città i francobolli in
centesimi da lui stampati, perchè venissero adoperati nelle provincie
settentrionali, proponendo altresì, per quanto riguardava il compenso,
uno... scambio... in natura con i francobolli in grana che Torino inviava
a Napoli. Lo stesso giorno il Vaccheri comunicava a Torino il suo parerer
nettamente sfavorevole sulla faccenda, date le inevitabili frodi e
falsificazioni cui ci si esponeva facendo stampare gli stessi francobolli
in sedi diverse. In questo senso rispose al Bellelli il direttore generale
delle posta torinesi Barabavara, il 17 gennaio 1861, ma l’indomito Barone,
che dipendeva giuridicamente solo dal Luogotenente, ignorò tale
disposizione, tanto che il 5 febbraio scriveva a Torino comunicando che i
francobolli erano quasi pronti per la distribuzione. La lotta volgeva però
ormai al suo epilogo: in data 19 marzo 1861 veniva soppressa la direzione
postale di Napoli e il barone Bellelli posti in aspettativa. Subentrava al
suo posto il Vaccheri, che in data 3 aprile ordinava di sospendere la
stampa dei francobolli incriminati, mentre contemporaneamente faceva
eseguire un inventario di tutto il materiale esistente. Nei giorni
seguenti spediva a Torino tutto quanto rinvenuto in macchinario,
francobolli stampati e in corso di stampa; per curiosità accenneremo che
per i francobolli già terminati (gli unici rimborsati) furono accreditate
ben ... lire 870 e 45 centesimi.
Qui ha termine la parte storica ed inizia quella più prettamente
filatelica. A quanto risulta dall’inventario del Vaccheri che accompagnava
i francobolli inviati alla Direzione Generale di Torino, i pezzi già
pronti per la distribuzione erano in tutto 290.150, quelli cui mancava
solo l’impronta a secco dell’effigie sovrana 432.600, quelli solamente
stampati, altri 1.311.500. Inoltre furono bruciati 65.750 esemplari di
vario valore facciale, perché scarti di stampa.
I 290.150 esemplari perfetti erano così ripartiti per i seguenti valori:
Centesimi 5 N. 100.950 Centesimi 40 N. 30.700
“ 10 N. 83.100
“ 80 N. 20.100
“ 20 N. 55.300
In seguito fu inviato a Torino altro materiale ordinato dal Bellelli e consegnato
solo allora, comprendente tra l’altro tre planches per francobolli da 1 e 2 cent. e da 3
lire: appare quindi evidente che la serie doveva contare lo stesso numero di valori di
quella di Torino. Non essendo però stati rinvenuti i punzoni per la impressione delle
cifre 1 e 2 si potrebbe supporre che il Barone Bellelli intendesse porre anche su
questi l’effigie di Re Vittorio Emanuele II: risulta comunque che le tre tavole non
servirono mai neppure a stampare prove di francobolli, e quindi il dubbio sussiste.
Esaminando i singoli valori dell’emissione si osserva facilmente come essi
siano la copia, più o meno fedele, della serie sarda del Matraire: per ognuna delle
cornici venne inciso un punzone (il che era avvenuto anche per gli altri), e quindi la
cornice dei francobolli è lievemente diversa dall’uno all’altro. Confrontando le due
emissioni, le differenze più evidenti consistono nelle diciture, più grandi e più nette
nell’emissione di Napoli,nella quale le perle di contorno sono più piccole ma meglio
appariscenti. Pure l’effigie sovrana, preparata con un diverso punzone, differisce
nettamente da quella sarda per espressione e perché inclinata all’indietro.
Esistono non molte prove di stampa: il compianto Comm. Emilio Diena, da
una cui splendida monografia abbiamo tratto queste note, dichiarava di conoscerne
alcune in nero da 5 cent., una in nero su azzurro dell’80 cent. Inoltre possedeva una
prova del 10 cent. bruno chiaro spolverata di porporina, che probabilmente servì
come saggio per il 3 lire.
I colori dei singoli valori non presentano una gamma molto vasta di .« nuances»:
il 5 cent. si conosce verde giallo scuro, chiaro e vivo; il 10 cent. terra d’ombra scuro
e chiaro; il 20 cent., azzurro e azzurro cupo; il 40 cent., rosso carminio scuro e
chiaro; l’80 cent. infine, arancio e arancio vivo. La gomma, brunastra. e molto spessa,
altera talvolta il colore, specie del 20 cent., che può apparire azzurro grigio.
L’effigie è quasi sempre ben centrata: le doppie e triple impronte sono molto rare;
si conoscono anche alcuni esemplari del 5 cent. con l’effigie dei francobolli sardi. Si
tratta probabilmente di esemplari sui quali non era stata impressa a Napoli l’effigie,
che venne apposta invece a Torino per prova: ciò è testimoniato dal ritrovamento di
essi tra il materiale di scarto del Matraire.
Prima di terminare può essere interessante descrivere i pezzi che si conoscono
usati. Come si sa, essi sono pochissimi, e precisamente: 4 da 5 cent., 2 da 10 cent.,
1 da 20 cent., 2 da 40 cent. e 1 da 80 cent. Essi. quasi certamente provengono da
materiale sottratto durante l’inventario del Vaccheri da qualche dipendente, e dimostrano
quanto fondati fossero i timori di furti, e malversazioni.
Ed ecco qualche dato su alcuni di essi :
1) 5 cent. verde giallo chiaro - annullo circolare piccolo di Napoli, 12 settembre
1862 — 5 S (era).
2) 5 cent. verde giallo chiaro - due esemplari sullo stesso frammento con annullo
circolare borbonico di Paola, 16 marzo 1863.
3) 40 cent. rosso carminio - annullo di Napoli, 22 gennaio 1863 - 9 S (Esso è usato
assieme ad un 5 cent. sardo).
4) 40 cent. rosso carminio - stesso annullo di Napoli, 23 gennaio 1863 - 9 S
5) 80 cent. arancio vivo - stesso annullo di Napoli, 24 gennaio 1863 - 9 S
Uno dei due esemplari del 5 cent. annullato «Paola» apparteneva alla famosa collezione
Ferrari De la Renotière. Si noti anche che i due francobolli da 40 cent. costituivano
originariamente una coppia, ma furono adoperati ad un giorno di distanza l’uno
dall’altro.
Di proposito abbiamo omesso di riprodurre almeno alcuni di questi esemplari
annullati, in quanto coloro che, curiosi di ben conoscerli, possono facilmente togliersi
il capriccio, consultando il magnifico catalogo Oliva «I francobolli d’Italia » (vol. I,
pag. 112).
Abbiamo così terminato la nostra rapida scorsa su di questa interessantissima
emissione, e speriamo che la brevità dell’esposizione non abbia nociuto alla chiarezza!
Dott. FRANCO MAINOLDI
Nota attuale (*) di Giorgio Landmans
Le date dei timbri postali fanno sospettare (1862-63) che si tratti di un abuso
che lo stesso Bellelli forse operò a titolo sperimentale, ma ... resta il fatto che
tutto il malloppo di valori allo stato di nuovi (con i relativi usati) venne ritrovato
(casualmente, ma da chi ?) nel 1925 forse dallo stesso compianto dott. Emilio
Diena. Ma questo tutto era parte del materiale rimasto nelle mani del Bellelli o
di quello inviato alla Direzione di Torino? Sappiamo di certo che quanto era in
deposito a Torino venne inviato nel tempo alla nuova sede di Roma, ma questo materiale, di cui non venne riconosciuta la validità e che presumibilmente
venne giudicato alla stregua di oggetti di falsificazione venne poi spedito
realmente insieme al resto?
Sorge spontaneo il sospetto che il tutto potrebbe essere stato l’oggetto di furba speculazione.
Grazie alla accettazione dell’alto parere di Emilio Diena i cataloghi del tempo
li misero in elenco come francobolli ufficiali. Ma quale fu la verità ? Avrebbero
dovuto essere elencati come francobolli ufficiali o - in corpo ben più modesto - come varietà o falsificazioni d’epoca esattamente come avviene oggi per gli
altri “falsi d’epoca” ?
(*) Lo scritto è del 1950 per cui ora la distanza è di circa 80 anni.
|