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Memorie di un anziano collezionista di storia postale (XI parte). Storie marcofile di avvisi di ricevimento: tre Avvisi particolari |
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Antonio Rufini | ||||||||||||||
Questa puntata è dedicata a tre Avvisi di Ricevimento miei personali i quali a tutta prima potrebbero sembrare poca cosa. - 1 – Il primo è un Avviso del 1953 spillato ad una Raccomandata spedita da mio nonno al Sindaco di Accumoli, suo Comune di nascita. Non so proprio per quale motivo fu fatta la raccomandata; all’epoca avevo 9 anni e l’avviso è in mie mani solo dal 1986. È un comune oggetto dei tempi, cartoncino color rosso, affrancato con un comune valore di “Italia al Lavoro” da £. 20 e fu unito a una raccomandata spedita da Roma Centro: fronte/retro, ci sono due impronte di B.T.L. “ACCUMOLI/RIETI”. Accumoli è uno dei due Comuni distrutti, alla lettera, dal sisma di magnitudo 6.0 il 24 agosto 2016 (l’altro è Amatrice) e per tale motivo è passato, dall’anonimato più assoluto, alla notorietà sui giornali e TV, nonostante, dopo la riforma amministrativa del 1927, avesse un record in Italia, un primato propriamente amministrativo (condiviso con il confinante Comune di Arquata del Tronto in provincia di Ascoli Piceno): il suo territorio fa parte del Lazio e confina con tre regioni: Umbria, Marche e Abruzzo. Prima del terremoto io e mio fratello eravamo proprietari, in loco, a 1.000 metri dall’epicentro del sisma, di una casetta di campagna di tre piani, ormai quasi inabitabile (Foglio 7 n. 325 sub. 1 cat. A/6), costruita con pietra alluvionale legata con calce di rena e solai in castagno; era vecchissima (sull’architrave del camino, in pietra, c’era la data di costruzione “1848”, l’anno dell’inizio del Risorgimento Italiano e delle 5 Giornate di Milano); oggi abbiamo solo un’area di risulta essendo state rimosse le relative macerie causate dal sisma distruttivo e la ricostruzione è di là da venire. La casetta era in Via Grisciano Vecchio n° 3, Frazione “Grisciano” o “Griciano”, piccolo borgo quasi al confine con le Marche, sulla riva destra del fiume Tronto, nel quale è stata inventata, chissà quanti secoli fa, la “Amatriciana senza pomodoro” che si chiama proprio “Gricia”, piatto semplicissimo e di pochi ingredienti (pasta, preferibilmente bucatini o spaghetti, guanciale, pecorino locale <molto forte, ma poco stagionato> e pepe, tollerato il peperoncino; no cipolla e aglio, no pancetta, no pomodoro, no Parmigiano, no panna); l’origine da Grisciano della “Gricia” è stato appurato dal gastronomo Carnacina e dall’enologo Veronelli i quali lo accertarono pedibus calcantibus più di 40 anni fa e poi da Livio Jannantoni e, da ultimo, con qualche imprecisione, su “Le Ricette del Contadino” di Paola Tucci, allegato al numero 622 del settimanale Panorama, Arnoldo Mondadori Editore, del quale sotto riproduco le pagine interessanti il fatto.
Già Pietro Pallini ha postato su questa rivista gli ingredienti per la ricetta, semplicemente quasi perfetti, della Gricia (in “Spaghetti all’Amatriciana") e perciò ve ne faccio grazia. Ci sarebbe da chiedersi, perché trattare del Mod. 23-I da Roma ad Accumoli e la risposta è semplice: il Comune di Accumoli aveva all’epoca (1953) poco più di 1.500 abitanti e nel 1984 (30 anni dopo) 800 abitanti; dai dati I.S.T.A.T. nel 2017 risultava che gli abitanti di Accumoli fossero 647. Tanto premesso c’è da chiedersi: dall’Ufficio Postale di Accumoli, chiuso da anni, poi posto in un container e funzionante tre giorni a settimana, quante corrispondenze possano essere partite, oltre quelle proprie comunali (tributi locali, anagrafiche e leva militare) con cotale bollo tondo/lunette? La risposta è: “sicuramente poche”, molto poche. E oltre tutto dall’anno seguente il 1954, la Direzione Provinciale ebbe a cambiare il bollo tondo datario con lunette con uno doppio cerchio senza lunette. Ed è per questo che mi sono permesso di allegare l’Avviso qui riprodotto.
Mostro, per completezza, l’immagine di una lettera col valore obliterato dal Bollo doppio cerchio, senza lunette, in uso all’Ufficio PT di Accumoli dal 1954; l’Ufficio, non oberato da eccessivo carico di lavoro (la parte veramente “pesante” del lavoro era rappresentata dalla consegna della corrispondenza in frazioni lontane, quelle più decentrate erano: Poggio d’Api e Roccasalli, effettuate, oltretutto, in bicicletta o motocicletta) poteva permettersi “bollature chiare”, molto gradite dai collezionisti di annullamenti italiani. Nel bollo non c’è ancora il corno di posta e il CAP sarebbe stato “di là da venire”.
L’allora Governo Renzi ebbe a dichiarare “….ricostruzione vera. Non sarà come all’Aquila….” (IL MESSAGGERO di Roma 25/8/2016 pag. 18); siamo nell’anno 2021 e per quanto mi costa sono state rimosse le sole macerie.
- 2 – Sono giunto al secondo Avviso, molto ma molto più recente. L’Ufficio Roma Telegrafo era situato in Piazza San Silvestro (vedasi foto attuale, allegata), in zona ZTL senza possibilità di accesso alle auto; l’Ufficio stesso era a sinistra nel portone d’ingresso di Roma Centro C.P. dal quale in orari settimanali di lavoro aveva accesso comune, ma la domenica, sbarrato il portone interno di Roma Centro, restava aperta una porta di Roma Telegrafo nel fabbricato. Anche durante il periodo normale, Roma Telegrafo funzionò e sempre anche per l’accettazione di Espressi affrancati diretti esclusivamente in città e di peso fino a 20 grammi, ma solo Espressi! (Regolamento art. 236, Istruzioni del Servizio Corrispondenze art. 273, istruzioni del Servizio Telegrafo art. 82). Sono sempre rimasto interdetto sulla limitazione di peso a 20 grammi; forse una lettera Espresso di secondo o terzo porto (fino a 100 grammi) doveva pesare troppo per essere portata al destinatario dal Fattorino Telegrammi, il quale, oltretutto, effettuava le consegne in motocicletta! Su tali Espressi i francobolli venivano obliterati col bollo datario dell’Ufficio Telegrafo e trascritti su un registro apposito prima della consegna a mezzo Fattorino. Tali Espressi, “fratelli poveri” dei Telegrammi e dei quali il mittente non aveva la ricevuta della consegna all’Ufficio e nemmeno poteva ottenere un Mod. 23-I, quando non sono di fattura spudoratamente filatelica (tutti i miei, per esempio), debbono considerarsi da molto rari a rarissimi. Il 6 agosto 1999, giornata caldissima, spedii però da Roma Telegrafo una Raccomandata, per dovere d’ufficio; era un giorno infra-settimanale ma Roma Telegrafo era aperto e funzionante per i soli Servizi Telegrafo e Corrispondenze, perché faceva da “tampone” a Roma Centro, chiuso forse per ferie o lavori edili interni; dentro l’Ufficio non vi era utenza; nei 20 minuti successivi sono stato l’unico estraneo all’Ufficio presente in loco e i due impiegati addetti, seduti e con facce annoiate, pareva stessero osservando con un certo interesse le mosche che volavano ronzando in cerchio attorno alla lampada centrale dell’Ufficio e quasi seccati presero il mio invio (già affrancato); sul verso dell’Avviso, già compilato manualmente col nome dell’Ufficio, apposero diligentemente, cosa quantomeno eccezionale, anche un timbretto dell’Ufficio Telegrafo ad inchiostro blu a spirito; il timbretto era “in più” ma fu ugualmente impresso. Sembrerebbe un fatto di ordinaria amministrazione del servizio postale. E invece no.
IL PALAZZO DELLE POSTE CENTRALI A ROMA, ALL’INTERNO DEL QUALE ERA L’UFFICIO TELEGRAFO, IN PIAZZA SAN SILVESTRO, OGGI PEDONALIZZATA MENTRE ALL’EPOCA ERA SEDE DI VARI “CAPOLINEA” DI TRASPORTI PUBBLICI URBANI SU GOMMA.
- 3 - Il terzo ed ultimo Avviso di Ricevimento merita una spiegazione. L'Ufficio predetto, che era quasi vicino allo storico mulino della Romana Macinazione (il quale aveva inventato l'altrettanto storico pane romano a "rosetta", fatto con farina Manitoba ottenuta dalla macinazione del grano proveniente dallo Stato federale omonimo del Canada) è stato chiuso verso la fine degli anni '90 forse per essere stato oggetto di reiterate rapine a mano armata. A molti chilometri di distanza venne aperto (dagli anni '90) ed ancora funzionante un grande e nuovo Ufficio Postale (principale), all’inizio di Via di Grottarossa (civici 56 e 58) che ha denominazione "Roma Grottarossa", vicinissimo alla Statale Cassia (S.S. 2), tra le Zone: Tomba di Nerone e Volusia (traversa a destra dopo il Km. 12 della S.S.2); la predetta Via di Grottarossa unisce, attraversando la campagna aperta, la Statale Via Cassia con la Zona Saxa Rubra e quindi l’attuale Via Flaminia Vecchia; ma si tratta di chilometri e chilometri, costeggiando l’Ospedale S. Andrea e con attorno, all’epoca, tanto di campi di grano e di carciofi! Non serve un controllo veloce in Google Maps (appresso uno stralcio di pianta stradale del Comune di Roma, ho segnato in rosso il percorso di Via di Grottarossa.
Mostro qui di seguito l'Avviso de quo e, per confronto, uno (duplicato) con bollo tondo di “Roma Grottarossa” e il retro di un altro con bollo tondo ben impresso.. Forse sarebbe stato più opportuno chiamarlo “Roma Cassia”, in considerazione della popolosissima parte della città che avrebbe servito (quasi 70.000 abitanti e all’epoca nessun altro Ufficio Postale in zona). Comunque siano andati i fatti, le cose sono andate così e tanto basti! Spero, anche questa volta, di non aver annoiato i lettori del IL POSTALISTA coi miei sconfinamenti gastronomici, amministrativi e di denominazione di Uffici. Antonio Rufini
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