PREMESSA.
Collezionisti ed appassionati di filatelia tematica sanno che fra i più recenti settori di raccolta filatelica si può annoverare quello delle Missioni militari di pace all’estero. La nostra Associazione ha deciso di rendere più popolare il settore, inserendo nella nostra rivista – a puntate – la storia di tali Missioni. Appunto perché questa è la prima puntata, necessita introdurre qualche nozione di base, iniziando dalla più ovvia ed elementare domanda: ma
cos’è una Missione militare di pace all’estero? E quale fu – per l’Italia – la prima di tali
imprese ?
Partiamo dalla definizione: la Missione militare non può avere mai origine per decisione
di un solo Stato o di un unico Stato Maggiore, altrimenti l’invio di soldati all’estero sarebbe
un colpo di Stato, un’invasione, l’inizio di una campagna di guerra. Altro che pace!
Essa deve venir ordinata – ed in genere organizzata - da un Ente soprannazionale, sia esso
la Società delle Nazioni (per il passato), l’ONU (per il mondo di oggi), l’Unione Europea
o comunque un gruppo di Stati che abbiano un interesse comune nel territorio di un paese
terzo, dove vi sia in atto un pericolo per i loro cittadini, operatori commerciali, uomini di
Chiesa o di medicina, coi relativi beni personali, sanitari od economici.
Ciò stabilito, bisogna sapere quale sia stata la prima di tali imprese per l’Italia, onde avere
una data di partenza. Con opportune ricerche storiche, abbiamo trovato la data che ci interessava.
I BOXERS IN CINA – 1900.
Alla fine del secolo XIX si verificò in Cina un evento che allora scosse l’opinione pubblica
mondiale e mise in subbuglio la diplomazia internazionale: era scoppiata un’ insurrezione
come mai si era visto in passato. Venivano massacrati indiscriminatamente missionari,
suore e cittadini europei, nonché migliaia di convertiti cristiani cinesi.
Le principali potenze europee, ma anche il Giappone e gli Stati Uniti, si mossero per proteggere
i propri cittadini, che operavano nel settore del commercio o in altre attività nel
Celeste Impero, per salvare i religiosi in pericolo e per difendere le Legazioni diplomatiche
a Pechino. Quando poi l’Imperatrice - Vedova Tsu- Hsi, che si era insediata abusivamente
sul trono cinese, appoggiò apertamente i rivoltosi (Boxer), ordinando altresì all’Armata imperiale di collaborare con gli insorti e di scacciare tutti gli stranieri dal
Regno di Mezzo (la Cina), allora le più grandi potenze mondiali organizzarono un potente
Corpo di spedizione per salvare i diplomatici, i missionari ed i propri cittadini che si trovavano
colà in grave pericolo.
Fu un avvenimento veramente straordinario, in quanto – anticipando le politiche comunitarie di organismi soprannazionali che allora neppure erano ipotizzabili (Società delle
Nazioni o l’ONU attuale), alcuni Stati sovrani – tra loro assolutamente diversi – si unirono
in una gigantesca operazione di salvataggio (Missione di pace, quindi) raggiungendo
infine la capitale dell’Impero cinese, Pechino. Era l’agosto del 1900.
Truppe dell'Alleanza delle otto nazioni nel 1900. Da sinistra:
Gran Bretagna, Stati Uniti, Australia, India britannica, Germania, Francia,
Austria-Ungheria, Italia, Giappone.
Laggiù, nel quartiere delle Legazioni (ossia delle Ambasciate) una piccola comunità multietnica,
un pugno di valorosi, si stava battendo da 55 giorni contro la sterminata marea
dei Boxer e dei militari cinesi. Fu davvero un’epopea che ancora oggi, a distanza di oltre
un secolo, sbalordisce per il suo ardimento e per l’eccezionale sforzo bellico comune, nonché per i successivi sviluppi politici che ne derivarono. Fu anche l’ultima volta che militari
di eserciti diversi si batterono fianco a fianco, prima che – col divampare dei conflitti
d’inizio secolo XX – gli stessi soldati si trovassero a combattere gli uni contro gli altri
(Guerra russo- giapponese, Prima Guerra Mondiale).
Il piccolo Regno d’Italia si procurò in quella occasione la sua parte di gloria.
Con la Circolare riservata n. 4240 del 5 luglio 1900 il Consiglio dei Ministri dispose la
costituzione di un Corpo di Spedizione per l’Estremo Oriente, al comando del Colonnello
Vincenzo Garioni, nonché la formazione di una Squadra Navale Oceanica al comando
dell’ Ammiraglio Camillo Candiani con 4 incrociatori, che andavano ad aggiungersi agli
altri due (Calabria ed Elba ) già in rada nel Mar Giallo. Il 19
luglio 1900 (un miracolo d’organizzazione
per quei tempi) le
navi partirono da Napoli. Il
Corpo di spedizione era imbarcato
su tre piroscafi, noleggiati
dalla Società di Navigazione
Generale Italiana: Marco
Minghetti, Giava e Singapore.
Una folla osannante salutò la
partenza dei nostri soldati per la
Cina ; c’era pure re Umberto I
(in navigazione, poi, i nostri
appurarono che il 29 dello stesso
mese a Monza il sovrano era
caduto sotto i colpi dell’anarchico
Gaetano Bresci. Il nostro
contingente giunse nella rada di
Takù il 29 agosto, col secondo
scaglione dell’armata alleata.
Partecipò però, come vedremo,
a tutta una serie di operazioni di
polizia e di pacificazione del
territorio circostante alla capitale.
SITUAZIONE IN CINA.
Intanto in Cina si erano verificati alcuni eventi d’importanza determinante. Anzitutto l’esercito
imperiale ed i Boxers avevano fermato, sconfitto in più scontri ed infine messo in
ritirata una colonna plurinazionale partita da Tien- Tsin per portare soccorso alle Legazioni
assediate. La comandava l’Ammiraglio britannico Seymour che, però, poco esperto di tattica
terrestre, volle usare la ferrovia Tien- Tsin / Pechino. I cinesi ovviamente semidistrussero
stazioni e rotaie, bloccarono gli europei ed infine li respinsero, assediandoli entro
la città di Tien- Tsin.
Il 17 giugno 1900 le forze alleate raggiunsero la rada di Takù nel Mar Giallo; c’erano oltre
30.000 fra soldati e marinai di ben sette nazioni, sotto il comando del Feldmaresciallo
tedesco Alfred von Waldersee . Dalla cartina n.1 si vede che Takù era un porto fortificato
alla foce del fiume Pei - ho (Fiume Bianco) che giungeva sino alla capitale. Con un rapido
colpo di mano, all’alba, gli alleati conquistarono i forti che circondavano la rada.
Alcune veloci torpediniere risalirono il primo tratto del fiume e sbarcarono marines e fucilieri
di marina. Le potenti artiglierie di bordo delle corazzate ancorate in rada aprirono
simultaneamente il fuoco sulle fortificazioni cinesi, inondandole di proiettili. Poi scattò l’assalto all’arma bianca dei marinai sbarcati a terra che misero in fuga i difensori imperiali.
I forti vennero presidiati da marinai di vari paesi, ed iniziò la marcia verso Tien- Tsin,
dove i resti della colonna dell’Amm. Edward Seymour erano assediati dalle truppe imperiali
e dai Boxers. Il 23 giugno i primi soldati di Waldersee entravano in Tien - Tsin, liberando
i loro commilitoni. Ora si doveva pensare a raggiungere Pechino, per liberare gli
europei assediati nel quartiere delle Legazioni. Questa volta Waldersee non commise l’errore
di seguire la ferrovia, ma formò due colonne che risalissero contemporaneamente le
due rive del fiume, appoggiandosi a vicenda contro gli attacchi cinesi. Le truppe andavano
leggere, in quanto il carico pesante (cucine, tende, munizioni, e vettovaglie varie)
seguiva la marcia, ma su chiatte fluviali confiscate o noleggiate sul posto. In testa alle due
colonne Waldersee mise grossi ma agili scaglioni di cavalleria (i Lancieri del Bengala
dell’Armata inglese delle Indie su una riva, e stormi di Cosacchi dello Zar sull’altra) così da incalzare i cinesi, stancandoli e braccandoli. Lungo la marcia, a parte le continue scaramucce
con la retroguardia imperiale, si verificarono quattro scontri campali con gli
imperiali, che alla fine furono messi in rotta verso la capitale. I soldati di ogni paese cercarono
di superare in valore ed efficienza gli altri contingenti ; così il 12 agosto 1900 le
colonne di punta raggiunsero Tung - Chow . Pechino era lì davanti a pochi chilometri. I 128
chilometri da Tien- Tsin erano stati percorsi in soli 48 giorni di dura marcia e di continui
scontri a fuoco con le retroguardie imperiali. Nel frattempo una seconda colonna di rinforzo
alleata era partita da Tien- Tsin; Waldersee poteva ora contare su circa 70.000 uomini
per l’attacco finale alla capitale.
Cosa era però successo frattanto nel quartiere delle Legazioni ?
L’ASSEDIO DELLE LEGAZIONI.
Qui aveva preso in mano la situazione il Ministro britannico Sir Claude MacDonald, già Maggiore dell’Armata delle Indie, che con piglio energico aveva organizzato una linea di
difesa, armando anche i civili europei che avevano prestato servizio militare nel loro
Paese. C’erano uomini di 8 nazioni: USA, Gran Bretagna, Russia, Germania, Francia,
Italia, Austria - Ungheria e Giappone, per un totale di 20 ufficiali e 412 fra soldati e marinai. Ad essi si aggiungevano una trentina di diplomatici ex ufficiali, nonchè civili volontari
per complessivi 566 uomini armati. In tutto, quindi circa mille uomini fronteggiavano
l’intera armata imperiale ed un'orda di Boxer inferociti e xenofobi. MacDonald aveva
provveduto già da subito a razionare riso e cibi, anche perché all’interno delle Legazioni
vi erano oltre 2.000 civili tra famiglie dei diplomatici(bambini compresi), religiosi (missionari
e suore) e cinesi convertiti che avevano trovato lì scampo da morte sicura. Alcuni
pozzi sotterranei fornivano acqua potabile e fresca, per cui la sete non fu mai un problema
durante i 55 giorni dell’assedio. L’Italia aveva una decina di diplomatici e 28 marinai
agli ordini del Tenente di Vascello Federico Paolini, con un pezzo da 37 mm., ma con soli
120 colpi a disposizione. MacDonald nell’ultima parte dell’assedio aveva ristretto la
superficie da difendere, abbandonando ogni posizione periferica; ormai tutti gli assediati
erano barricati nella Legazione britannica, situata immediatamente fuori dalla cinta della
Città Proibita dove c’era il Palazzo dell’Imperatrice.
L’ATTACCO FINALE.
Tutti i distaccamenti alleati si erano concentrati a circa otto chilometri dalla capitale.
Waldersee decise per un attacco concentrico da sud e da est, coinvolgendo più ingressi
possibili. Infatti il quartiere delle Legazioni era compreso in un’area completamente chiusa,
detta Città Tartara, con pochi accessi da cui doveva passare l’intera forza multinazionale.
All’alba del 14 agosto 1900, tutte le artiglierie alleate aprirono simultaneamente il
fuoco sulle porte della muraglia nei lati sud ed est. Poi le fanterie scattarono all’assalto.
La storia ci dice che per primi entrarono in Pechino, alle 14.40, alcuni soldati indiani del 1° Reggimento Sikhs, scavalcando con una scala il muraglione della Porta dell’acqua
(Water Gate) da sud. Subito dopo, da quella stessa porta irruppero i Lancieri del Bengala
dello scaglione inglese del generale Gaselee, che in pochi minuti raggiunsero la vicina
Legazione britannica. L’assedio era finalmente spezzato dopo i lunghi e duri 55 giorni di
combattimento. Gli Europei, i Giapponesi e gli Statunitensi liberati festeggiarono la liberazione.
L’indomani venne liberata pure la cattedrale del Peitang, situata addirittura nella Città Proibita accanto al Palazzo Imperiale, dove undici marinai italiani agli ordini del
Sottotenente di Vascello Angelo Olivieri e 30 marinai francesi si erano battuti per oltre due
mesi, proteggendo circa 3.200 fra religiosi francesi (missionari e suore) e convertiti cinesi
che si erano rifugiati tra le solide mura della cattedrale.
CONCLUSIONE.
La conquista di Pechino portò a grandi cambiamenti, di cui solo una parte apparve subito.
L’Imperatrice - Vedova fuggì al nord con la sua corte e gli Alleati imposero durissime
condizioni di pace. I più intransigenti furono gli Imperatori di Germania e Giappone, che
pretesero scuse personali da parte della Dinastia Ching, che dovette così inviare membri
della famiglia imperiale a Berlino ed a Tokio implorando perdono per l’uccisione di due
diplomatici avvenuta per mano dei Boxer: il Barone von Ketteler, Ministro tedesco ed il
Segretario d’Ambasciata Sugiyama. La Cina dovette versare ai vincitori un indennizzo per
danni di guerra pari a circa 400 milioni di dollari- oro.
La Dinastia si impegnò a ricostruire ed a riparare le Legazioni semidistrutte o incendiate
per la rivolta. Le potenze vincitrici ottennero estese superfici a Tien- Tsin per impiantarvi
le loro Concessioni, Italia compresa (che la mantenne fino all’ 8 settembre 1943). Erano
aree che godevano dell’extraterritorialità, ossia dove vigevano le leggi degli Stati che le
possedevano. L’impatto della campagna contro i Boxer però travalicò i semplici termini
del Trattato. La Dinastia Manciù perse completamente prestigio, malgrado l’insediamento
sul trono di un discendente diretto dei Ching. Così, dopo un lungo periodo di lotte interne
fra gli eserciti cinesi dei Signori della guerra, alla fine venne proclamata la Repubblica
nazionalista di Sun- Yat – Sen, cui in seguito subentro il governo comunista di Mao, dopo
due invasioni giapponesi (1936 e 1941). Solo da poco la Cina ha potuto tirarsi fuori dalla
sua crisi interna, sviluppando la propria economia ormai seconda al mondo. Ecco l’intero
scenario delle conseguenze della campagna internazionale del 1900.
IL CORPO DI SPEDIZIONE ITALIANO.
Abbiamo visto che i nostri militari giunsero in Cina dopo la liberazione delle Legazioni.
Si fecero però conoscere per la loro attività bellica ed efficienza nel successivo periodo:
c’era da pacificare l’interno del paese, ripristinare le Missioni e ricostruire ferrovie
(Transiberiana meridionale), porti e villaggi. I nostri reparti parteciparono a ben dieci spedizioni
nell’interno del Paese, insieme a contingenti di altri Paesi, con violenti scontri a
fuoco, sbarchi e lunghe e faticose marce. Fecero una notevole esperienza bellica e tutti gli
ufficiali partecipanti in seguito raggiunsero i più alti vertici della gerarchia militare. Il
nostro Stato Maggiore studiò la campagna e ne trasse ispirazione per importanti cambiamenti
nel settore degli armamenti, come la massimizzazione nell’uso delle mitragliatrici e
nell’impiego delle artiglierie da campagna (piccolo e medio calibro) in appoggio alla fanteria. Il parco - carriaggi fu ampliato, inserendovi il nuovo mezzo mobile: l’autocarro. Si
incrementò la mimetizzazione, eliminando le divise di tinta scura, a favore del grigioverde
e del cachi, per i reparti coloniali. Infine si provvide a creare un Reggimento di fucilieri
di Marina, per le operazioni anfibie di sbarco (il San Marco), eliminando i reparti tratti
dagli equipaggi delle navi. Il tutto venne messo in campo sia nella successiva campagna
di Libia (1911 – 1912) che nella 1ª Guerra Mondiale. A conferma del buon lavoro svolto
in Cina dal nostro contingente, giunsero dai governi dei Paesi alleati, riconoscimenti scritti
che sottolinearono l’ottimo comportamento dei nostri militari sul campo. Si concluse
così la prima missione di pace all’estero svolta dall’esercito italiano.
E’ doveroso ricordare la decina di caduti e la trentina di feriti – fra marinai e diplomatici – purtroppo avuti in quella missione. Quattro Medaglie d’oro al Valore Militare furono
concesse a membri della Regia Marina : al Sottocapo Vincenzo Rossi, caduto con la colonna
Seymour, al Sottotenente di Vascello Angelo Olivieri, (per la brillante difesa della cattedrale
del Peitang, ed ai Sottotenenti di Vascello Ermanno Carlotto, a Tien- Tsin, ed al
Tenente di .Vascello Federico Paolini, per la difesa delle Legazioni.
SUPPORTI TEMATICO – POSTALI.
Presentiamo alcuni supporti tematico - postali pertinenti all’argomento.
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Esemplari postali sovrastampati in uso presso i
nostri due Uffici postali di
Pechino (Ambasciata) e Tien- Tsin (Concessione) |
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Cartolina postale in franchigia del 20.9.1919 stampata a Tien- Tsin,
con bollo dello Ufficio PT di tale città , viaggiata e diretta a Trieste.(Collezione Astolfi) |
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Cartolina illustrata
Anni Trenta
con la veduta della
Piazza Regina Elena a
Tien-Tsin. |
BIBLIOGRAFIA
- L. De Courten e G.Sargeri : Le Regie Truppe in Estremo Oriente – Ufficio Storico Stato
Maggiore - Roma – 2005 ;
- A.Caminiti : Le insurrezioni antimperialiste di fine secolo XIX ( Khartum 1885 – Pechino
1900 ); Edizioni Liberodiscrivere, Genova 2013. |