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Avvenimenti a Cefalonia dopo l'8.9.43 | ||||||||
di Giuseppe MARCHESE (ASIF 1/1979) | ||||||||
L'occupazione di Cefalonia da parte delle truppe italiane ebbe inizio nel maggio 1941 in esecuzione delle clausole dell'armistizio firmato tra la Grecia e l'Italia a conclusione del conflitto che aveva opposto i due paesi (Fig.1).
Sbarcarono a Cefalonia i seguenti reparti:
In tutto più di 10.000 uomini e 525 ufficiali al comando dei quali vi era il Generale di Divisione Antonio Gandin. Il Servizio Postale Militare nell'isola venne espletato dai seguenti servizi che usarono i numeri 2 - 2 sez. A - 412 (Fig. 3), (Fig. 4), (Fig. 5).
Alle ore 18 di quel fatidico 8 settembre la stazione radio della Marina a Cefalonia captava un comunicato di Radio Londra che annunciava la conclusione dell'armistizio del Governo italiano con gli Alleati. Alle ore 19 il Comando della «Acqui» apprendeva dalla Radio italiana l'annuncio ufficiale di Badoglio alla Nazione. In questi primi momenti l'unica decisione del Gen. Gandin fu di ordinare il coprifuoco per le ore 20. Poco dopo le ore 21 giunse un radiogramma da Atene dal Comando XI Armata da cui la "Acqui" dipendeva: «Seguito conclusione armistizio truppe italiane XI armata seguiranno questa linea di condotta. Se i tedeschi non fanno atti di violenza truppe italiane non rivolgeranno le armi contro di loro. Truppe italiane non faranno causa comune con ribelli né con truppe anglo-americane che sbarcassero. Reagiranno con la forza a ogni violenza armata. Ognuno rimanga al suo posto con compiti attuali. Sia mantenuta con ogni mezzo disciplina esemplare. Comando tedesco informato di quanto precede. F.to Gen. Vecchiarelli ». Era un ordine molto discutibile e in alcune parti in contrasto con le direttive del Governo, nel punto in cui escludeva ogni collaborazione militare con gli anglo-americani. Molti storici sono concordi nel ritenere che per quanto riguarda Cefalonia un deciso attacco preventivo da parte degli italiani avrebbe avuto ragione della guarnigione tedesca. C'erano nell'isola 10.000 italiani e meno di 3.000 tedeschi della Wehrmacht che, sebbene bene armati, non avrebbero potuto resistere a una nostra offensiva rapida e decisa. Passato il primo giorno in attesa guardinga, il giorno 9 alle ore 20 giunse un secondo radiogramma che ordinava: «In seguito ad accordi intervenuti tra il Comando della XI Armata e il Comando superiore tedesco, le divisioni dell'armata devono cedere ai germanici le artiglierie e le armi pesanti della Fanteria». Era la resa senza onori, decisamente avversata dai soldati che con il loro innato buon senso non vedevano altra via d'uscita che la cacciata delle truppe tedesche dall'isola. Per eseguire questi ordini che riteneva giustamente lesivi dell'onore militare il Gen. Gandin chiese consiglio a tutti i suoi ufficiali. Si pronunciarono per la resistenza ai tedeschi solo il Comandante della Marina Mastrangelo e il Colonnello di Artiglieria Romagnoli. Gli altri erano propensi a cedere le armi. Contro questa decisione insorsero un gruppo di ufficiali inferiori che si fecero ricevere dal Generale Gandin mentre alcune postazioni d'artiglieria puntavano le loro armi contro la sede del Comando divisionale. Gli «insorti» ottennero dal Generale Gandin l'assicurazione che si sarebbe ricercata una soluzione onorevole per tutti. Il 14 settembre pomeriggio venne tenuto una specie di referendum tra le truppe italiane sul dilemma: coi tedeschi, contro i tedeschi, cessione delle armi. Il referendum si chiuse con l'accettazione all'unanimità della linea: lotta ai tedeschi. Lo stesso giorno 14 settembre iniziarono gli scontri. La Divisione, che per la conformità dell'isola, fu costretta a scaglionarsi in nuclei separati, si difese dagli attacchi tedeschi che nel primo giorno ottennero isolati successi mantenendo le posizioni attorno ad Argostoli. I tedeschi non fecero prigionieri, chi si arrendeva veniva fucilato sul posto e i combattimenti durarono accaniti fino al 22 settembre, quando i tedeschi iniziarono la più vergognosa e barbara rappresaglia di un esercito moderno. Interi reparti vennero disarmati e fucilati sul posto. Gli ufficiali scampati alle prime stragi sul campo di battaglia dapprima concentrati nel carcere di Argostoli (Fig.6), furono poi trasportati su camion alla «casetta rossa».
Qui concentrati in una stanza vennero chiamati a turno: «Fuori in otto!»; «Fuori in dodici!». Immediatamente allineati contro il muro del cortiletto vennero falciati dal plotone di esecuzione. Rimossi i cadaveri, la macabra chiamata ricominciava per tutto il giorno. Dei 200 ufficiali portati alla «casetta rossa» se ne salvarono 37; il cappellano, quelli originari del Trentino-Alto Adige, quelli che poterono dimostrare di essere fascisti. Il 25 settembre cessarono i massacri. Dei 10.000 soldati e ufficiali 2.000 caddero combattendo dal 15 al 22 settembre, 4.000 furono massacrati tra il 22 e il 25 settembre (Fig.7).
Ma la sorte si accanì ancora contro i resti della Divisione. Circa 3.000 superstiti furono stipati come bestie in tre navi trasporto e spediti verso Atene da dove dovevano poi prendere la strada per la Germania. Una dopo l'altra le tre navi finirono sulle mine e saltarono in aria con tutto il loro carico.
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