L'occupazione italiana di Rodi e del Dodecaneso fu dettata dalla volontà italiana di aprire un "secondo fronte" per indebolire ulteriormente l'impero Ottomano che aveva già impegnato, con qualche difficoltà, in Libia.
Un contingente di circa 10.000 uomini, comandati dal Generale Ameglio, sbarca in Egeo nel maggio 1912 incontrando una tiepida, se non del tutto assente, difesa turca. L'occupazione, che doveva essere temporanea ai soli fini del conflitto in corso, si protrasse negli anni trasformando l'Egeo in una colonia italiana, fino al crollo avvenuto a seguito della seconda guerra mondiale.
Da Rodi ci giunge la testimonianza di uno dei 10.000 militari che vi sbarcarono, ci dice dove era alloggiato "in una loggia della "Ecclesia", continuamente molestato dal canto scordato ed antipatico di due bellissimi pavoni, unico onore e vanto di questo paese-letamaio". Ci racconta anche di un "tafferuglio" sedato dai carabinieri "i quali ne dettero tante quante possono bastare a mettere in fuga centinaia di cenciosi affamati" e le condanne che verranno inflitte ai residenti che non rispetteranno le regole impartite. Una lettera che rivela alcuni aspetti non conosciuti di quella guerra.
Roberto Monticini, Eugenio Priola
Ho dato sempre molta importanza al contenuto delle buste della mia collezione. Molte volte infatti mi hanno fornito informazioni preziose che le buste e i bolli non riuscivano a darmi. Ecco perché ho trovato molto interessante la lettera contenuta nella busta indirizzata a Biella e proveniente dall'isola di Rodi presentata qui dal socio AICPM Priola.
Anche in questo caso la busta non ci dice niente di particolare, se non il fatto che, pur non essendo affrancata, è stata regolarmente recapitata. Il bollo, poi, è generico e ci fa capire soltanto che il mittente è un soldato della 6° Divisione.
Se leggiamo la lettera, invece, possiamo scoprire altre interessanti informazioni.
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Già la prima riga, "Kremastò 28 febbraio 1913", dà origine a un piccolo giallo. Infatti nessuna località dell’isola di Rodi risponde ufficialmente a quel nome. Esiste invece un villaggio, vicino a Rodi città, che si chiama "Kremastì". Prima di tutto bisogna dire che, pur con un toponimo differente, la lettera proviene certamente da quel villaggio, perché in effetti gli Italiani che vi risiedevano utilizzavano il nome Kremastò. Questa informazione si evince anche da una rara cartolina in mio possesso proveniente da Kremastì, in cui sono presenti due bolli: in quello postale si legge "RR POSTE ITALIAJNE/ CREMASTI' (RODI EGEO) " e in quello amministrativo è scritto "COMANDO PRESIDIO KREMASTO' (RODI EGEO)". Aggiungo a questo dato anche un mio ricordo personale di ragazzo: durante la mia permanenza nell’isola, quando Rodi era italiana, tutti chiamavano il posto "Kremastò", tanto che era in voga un gioco di parole che suonava: "Io sto a Kremastò e io a Crema non sto". Gli italiani, quindi, dai primi tempi dell'occupazione e per tutto il trentennio successivo hanno sempre chiamato il paese "Kremastò".
Da dove deriva dunque questa diversa denominazione?
Possiamo partire da un dato certo: è da escludere è che "Kremastò" sia l'italianizzazione del toponimo greco, perché il nome ufficiale che gli italiani dettero al villaggio è "Cremastì", come risulta anche dal primo bollo postale della località. La versione italiana deriva dalla semplice sostituzione della “K” con la “C”.
Perché allora nella lettera questo soldato nel 1913 chiama il posto "Kremastò"? La ragione risiede nella storia di questo villaggio. Il toponimo "Kremastì", infatti, comincia ad apparire intorno alla fine del 1800. La desinenza in “o”, invece, è assai più antica: risale, dalle testimonianze, a circa 4 secoli prima. Il luogo infatti era conosciuto e veniva chiamato dalla gente del posto “Kremastò” fin dalla presa di Rodi da parte dei Turchi nel 1523. A questo punto dobbiamo allora domandarci da dove derivi il toponimo Kremastì. Prima di tutto, dato che il termine ha origine da un aggettivo, che significa “appeso”, “sospeso”, possiamo osservare che la finale, “η” (èta, pronunciata “ì”), è una desinenza femminile che dipende dal sostantivo al quale l’aggettivo è riferito, ovvero "città". Se l’aggettivo invece si accorda con “paese”, che in greco è un sostantivo neutro, la desinenza è "o". Molto probabilmente quindi dalla fine dell’Ottocento il toponimo ha oscillato tra la forma più antica, quella praticata dagli abitanti del luogo (Kremastò), e quella moderna (Kremastì), legata, si può supporre, allo sviluppo del villaggio, che da paese è diventato città, anche forse intesa come amministrazione e istituzione. Gli italiani residenti in quell’area, evidentemente, si sono adeguati alla pratica linguistica maggiormente utilizzata dagli abitanti del luogo, che chiamavano il posto ancora “Kremastò”, anche se hanno riportato, nei documenti ufficiali, il nuovo nome "Cremastì".
Proseguendo alla ricerca di indizi, sempre dalla prima riga della lettera, "Kremastò 28 febbraio 1913", possiamo dedurre un’altra informazione interessante, ovvero che questa è la prima lettera conosciuta proveniente da questo villaggio. Infatti, il primo ufficio postale della località fu aperto dagli italiani un anno dopo, nel 1914.
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Ma le preziose scoperte che questo testo può regalarci non sono finite. Nel seguito della lettera, infatti, leggiamo il racconto, molto colorito, di una piccola sommossa dei greci a Cremastò e a Villanova (oggi Paradisi). Di questo piccolo tafferuglio accaduto nell'isola di Rodi durante i primi tempi dell'occupazione italiana non vi è traccia nei documenti ufficiali. Questa, quindi è, a mia conoscenza, l’unica testimonianza di questi fatti.
Concludendo, le lettere sono testimonianze spesso davvero sorprendenti e possono essere di grande aiuto nelle ricerche dei collezionisti. Per questo apprezzo molto la scelta di pubblicare questa interessante lettera e spero che questo esempio porti altri cultori di Storia postale a leggere sempre con attenzione i testi contenuti nelle buste, da cui spesso è possibile ricavare notizie preziose e, a volte, inedite.
Mario Carloni
(30-03-2020)
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