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25 aprile, una strage (quasi) dimenticata: Niccioleta
Lorenzo Oliveri
Ufficialmente il 25 aprile è "festa nazionale per la liberazione dell'Italia dall'occupazione nazista e dal regime fascista". Col passare degli anni, a poco a poco, tale ricorrenza si sta riducendo a una celebrazione perlopiù rituale. D'altra parte, secondo recenti sondaggi, almeno un italiano su 5 esprime intenzioni di voto per un partito che, quantomeno indirettamente, si richiama a miti e suggestioni dell'epoca fascista...

La filatelia, e in particolare lo studio della storia postale, ci consente, se vogliamo inserire i documenti nel contesto storico che li ha prodotti, di scoprire avvenimenti e situazioni che allargano i nostri orizzonti all'intera storia del Nostro Paese.

Lo scorso anno pubblicai un articolo su Norma Parenti, figura ricordata in un erinnofilo della serie "Pro Vittime Politiche"; mentre mi documentavo per tale lavoro, incidentalmente venni a conoscenza della strage della Niccioleta, che si svolse a pochi chilometri dal luogo dell'esecuzione della Parenti e nello stesso comune, Massa Marittima (Grosseto). Dalle poche notizie che riuscii a raccogliere su internet, capii subito che si trattava di un avvenimento tanto tragico quanto inspiegabile e cercai di approfondire l'argomento. Grazie soprattutto alla ricercatrice Katia Taddei, che da oltre un ventennio indaga su quella vicenda, è ora finalmente possibile avere una ricostruzione più attendibile di quei terribili fatti, anche se le vere motivazioni che portarono all'evento si prestano ancora a diverse interpretazioni. Le lunghe e certosine ricerche della Taddei, che ringrazio anche per la revisione di questo articolo, sono contenute in due volumi, che consiglio vivamente a chi desideri approfondire la conoscenza della strage (Katia Taddei, Coro di voci sole, Il Ponte Editore, 2005 e Katia Taddei, Coro di voci sole, nuove verità, Effigi edizioni, 2017).

Il territorio nel quale si svolgono i fatti si trova nella zona del Monte Amiata, terra particolarmente ricca di risorse minerarie, a cavallo tra le province di Grosseto e Pisa.

Pirite


In località Niccioleta, al centro delle Colline Metallifere, pare che già in epoca etrusca vi fossero miniere per l'estrazione di vari metalli, tra cui il ferro, sotto forma di pirite. Qui negli anni '30 del secolo scorso furono scoperti rilevanti giacimenti di questo minerale e la società Montecatini aprì una grande miniera, costruendo nella piccola frazione di Niccioleta un intero villaggio per ospitare gli operai e le loro famiglie.


Occorre sottolineare che, nonostante il duro lavoro in miniera, a Niccioleta si viveva meglio che in molte altre località del Paese, dove, a seguito delle enormi spese belliche per la "conquista dell'Impero" e per la partecipazione alla guerra di Spagna (senza dimenticare le "sanzioni"), la vita si era fatta sempre più difficile: qui la Montecatini, oltre a costruire case moderne per i lavoratori, aveva creato strutture per la comunità (ufficio postale, scuola, banda, dopolavoro, cinema-teatro) e uno spaccio dove i dipendenti della ditta potevano trovare tutti i prodotti necessari al loro sostentamento. La sottolineatura è importante perché ci permetterà di capire meglio l'attaccamento dei minatori alla "loro" miniera. Ricordo ancora che, essendo la miniera "militarizzata", coloro che vi lavoravano erano stati esentati dal servizio militare combattente e anche per questo si consideravano dei "privilegiati".

Lettera spedita per via aerea da Addis Abeba il 17 marzo 1939 a Niccioleta al minatore Di Stefano Antonio. Per questo nominativo non ho al momento trovato riscontri tra le persone coinvolte nella strage.


L'episodio oggetto di questo articolo si colloca in un momento storico del tutto particolare: siamo alla fine della primavera del 1944 e le Forze dell'Asse, dopo aver dovuto abbandonare Roma, si stanno ritirando lentamente verso la Linea Gotica, cercando di rallentare il più possibile l'avanzata degli Alleati.

La situazione politica a Niccioleta

Secondo le molte testimonianze raccolte, a Niccioleta circa la metà dei minatori era iscritta o simpatizzava per il partito comunista (allora fuorilegge); alcune famiglie avevano componenti nei gruppi di partigiani che operavano nei dintorni; Massa Marittima e la regione circostante erano storicamente sempre state una roccaforte del partito repubblicano; al partito nazionale fascista allora al governo rimaneva quindi ben poco spazio per fare proseliti, al di fuori di quanti erano stati costretti a prendere la tessera del P.N.F., indispensabile per svolgere il loro lavoro. Tuttavia dalle testimonianze risulta che tra i pochi esponenti fascisti e il resto della popolazione non siano mai sorti gravi dissidi.

 

Avvenimenti accaduti nel periodo precedente la strage

agosto 1943 - Sciopero nella miniera di Niccioleta.

25 maggio 1944 - Scadenza "bando Almirante" per la presentazione dei renitenti (leggi il testo >>>).

4 giugno 1944 - Due ufficiali tedeschi del distaccamento di Pian dei Mucini visitano la miniera e scattano diverse fotografie e dicono al direttore: "In miniera si collabora con i partigiani...".

5 giugno 1944 - Ingresso degli Alleati a Roma.

9 giugno 1944 - Nel tardo pomeriggio una pattuglia di partigiani della III Brigata Garibaldi occupa Niccioleta e viene istituito un "servizio d'ordine" per la difesa della miniera. Nella notte i partigiani abbandonano il paese. Alcuni dei fascisti più in vista (Calabrò, Nucciotti) salgono a Pian dei Mucini per informare i Tedeschi dell'accaduto e chiedere aiuto.

I fatti del 13 e 14 giugno

Alle 6 del mattino del 13 giugno il 3° Battaglione di Polizia Tedesca e Italiana (comandato da Tedeschi, ma comprendente anche ufficiali italiani), circonda il paese e compie il rastrellamento di tutti gli uomini; all'operazione partecipano anche alcuni fascisti locali, fornendo dettagliate indicazioni.

Durante il rastrellamento 6 persone, con diverse motivazioni, vengono giustiziate a Niccioleta. Gli altri sequestrati sono rinchiusi nel rifugio antiaereo. Nel frattempo i militari trovano gli elenchi nominativi dei turni per la difesa della miniera.

Verso sera alcuni dei sequestrati vengono rilasciati. Alle famiglie di quelli ancora rinchiusi nel rifugio viene detto di portare viveri e indumenti (e carte annonarie), in vista di un loro trasferimento. I prigionieri alle 19 partono alla volta di Castelnuovo di Val di Cecina, sede del comando tedesco di zona, dove vengono rinchiusi nel cinema del paese.

Qui, dopo sommari interrogatori collettivi, sono suddivisi in tre gruppi: i più anziani vengono rinviati a Niccioleta, degli altri due gruppi uno partirà alla volta della Germania per i campi di lavoro (sono 21, ma dopo alcune fughe durante il tragitto per Firenze rimangono in 15); l'altro, composto da 77 persone, verso sera viene portato nella campagna circostante Castelnuovo e, lungo la strada per Larderello, in una riva ricca di soffioni boraciferi, a gruppi di cinque, vengono uccisi. Unico testimone un contadino, che dalla sua stalla assiste all'eccidio. Il forte rumore prodotto dai soffioni impedisce ai condannati di sentire gli spari di quelli trucidati in precedenza e gli stessi soffioni renderanno alcuni corpi difficilmente riconoscibili.

Niccioleta, monumento-ricordo



Perché?

Nei quasi ottant'anni che ci separano dalla strage sono state proposte alcune possibili interpretazioni di questo eccidio.

Molte stragi nazifasciste nascevano da fatti contingenti, c'era un rapporto causa-effetto, anche se perverso: l'attacco di Via Tasso portò alle Fosse Ardeatine, all'attentato al cinema Odeon di Genova seguì la strage del Turchino, ecc. In questo caso non esiste una causa diretta: ho voluto riportare in precedenza alcuni fatti accaduti prima dell'eccidio perché possono essere stati (e sono stati) considerati causa (o concausa) dell'evento: il fatto che nessuno avesse risposto al Bando Almirante (che rivelava l'assoluta perdita di credibilità del regime nei confronti della popolazione), l'inarrestabile avanzata degli alleati, dopo la conquista della città-simbolo di Roma (che testimoniava l'inevitabile sconfitta del nazi-fascismo), l'occupazione partigiana del paese e il servizio d'ordine a difesa della miniera (segno inequivocabile della perdita di controllo del territorio) non giustificano la gravità e le dinamiche della strage.

Nel suo secondo volume Katia Taddei avanza l'ipotesi che l'evento fosse stato organizzato meticolosamente da tempo e che si sia atteso il momento più propizio per metterlo in pratica. Grazie alle sue ricerche è riuscita a documentare la presenza, dopo lo sciopero dell'agosto 1943, del capitano Larato (del Servizio Informazioni della Repubblica Sociale) come "assistente" del direttore della miniera.

Non si è mai ufficialmente chiarito quale funzione effettiva avesse nell'ambito della gestione della miniera questo "dr. Larato", come veniva chiamato, ovviamente presente come "civile"; in verità ebbe modo di studiare minuziosamente gli uomini e l'organizzazione dell'azienda e "scomparve", per un presunto viaggio a Milano, una decina di giorni prima della tragedia (alcuni testimoni, però, lo videro in zona il 13 giugno). Quindi l'eccidio fu meticolosamente organizzato, forse ricordando lo sciopero generale della miniera dopo la caduta del fascismo o, più probabilmente, come terribile monito alle popolazioni di una zona da sempre in forte prevalenza antifascista e, sicuramente, sollecitato dagli elementi fascisti più attivi a Niccioleta.

Come avvenne per la maggioranza delle stragi italiane, anche questa non ha avuto giustizia: i pochi fascisti di Niccioleta rintracciati vennero condannati a pene severe, ma già dopo pochi anni, grazie all' "amnistia Togliatti", tornarono liberi. Inoltre all'epoca non venne individuato nessuno dei tedeschi che compirono l'eccidio: i loro nomi si ritrovarono nell' "armadio della vergogna", aperto nel 1994, cinquant'anni dopo le stragi, ma questa è un'altra storia...

Lettera spedita per via aerea da Ezio Marchi (una delle vittime della strage) alla moglie Landina Bettaccini. La missiva, bollata POSTA MILITARE 126 E, in data 12.9.36, parte dalla Somalia. Ezio Marchi tornò in Italia e trovò lavoro alla miniera della Niccioleta. Quando venne fucilato aveva 34 anni e una figlia piccola, Angela.

Lorenzo Oliveri
20-04-2021