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Brigata Arezzo: anno 1917, storia dall’Isonzo |
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Gustavo Cavallini | ||||||||||||||
La decima battaglia dell'Isonzo fu combattuta tra il 12 maggio e il 5 giugno 1917 nel corso della prima guerra mondiale tra le truppe italiane e quelle austro-ungariche. Gli Italiani potevano contare su 430 battaglioni e 3.800 pezzi di artiglieria, l'Austria-Ungheria su 210 battaglioni e 1.400 pezzi di artiglieria. L'obiettivo dell'offensiva italiana era rompere il fronte per raggiungere Trieste. Dopo 2 giorni e mezzo di bombardamenti a tappeto sull'intera linea del fronte da Tolmino fino al Mare Adriatico e dopo un attacco nei pressi di Gorizia, il fronte austro-ungarico venne rotto nella periferia meridionale della città. Gli Italiani riuscirono a conquistare temporaneamente il villaggio di Jamiano, oltre a diverse alture del Carso monfalconese, ma vennero respinti da un contrattacco austriaco partito dalle alture del monte Hermada. Tra Monte Santo e Zagora, a nord di Gorizia, riuscirono a passare l'Isonzo, a costruire tempestivamente una testa di ponte e a difenderla. Da parte italiana si contano 160.000 vittime (tra cui 36.000 caduti), gli austro-ungarici persero invece 90.000 uomini (di cui 17.000 morti). L'esercito italiano riuscì a fare prigionieri 23.000 soldati austriaci, quello austriaco 27.000 italiani. "L'azione delle nostre fanterie fu superiore ad ogni elogio, e le gravissime perdite sofferte imposero rispetto allo stesso nemico" L'undicesima battaglia dell'Isonzo fu combattuta durante la prima guerra mondiale (17 agosto – 31 agosto 1917) sul fronte delle operazioni italiano, fra il Regio Esercito e l'esercito austro-ungarico. Il monte San Gabriele, che fino ad allora era stato considerato inespugnabile, fu conquistato da tre compagnie di Arditi in soli 40 minuti, portando alla cattura di 3.000 prigionieri. Invece il monte Hermada si confermò inespugnabile, e l'offensiva si arrestò. La battaglia finì così in un bagno di sangue sostanzialmente inconclusivo. Le forze austro-ungariche erano sull'orlo del collasso, e non avrebbero potuto sostenere un altro attacco; per tale ragione lo stato maggiore austriaco si rivolse alla Germania, richiedendo rinforzi sul fronte isontino. Anche gli italiani avevano subito ingentissime perdite e si trovavano in gravi condizioni, tali per cui non sarebbero riusciti a contenere la successiva offensiva tedesco-austriaca (dodicesima battaglia dell'Isonzo, o battaglia di Caporetto).
La Brigata rimane nelle medesime posizioni alternando i suoi reparti tra la linea del fuoco e la retrovia di Monfalcone; in maggio partecipa alla X° Battaglia dell’Isonzo muovendo dalle posizioni di quota 121 – 85, abbandonate dal nemico, contro le difese austriache ad est di Monfalcone, imperniate su una serie di collinette che mettono a dura prova la resistenza dei fanti italiani. Nei giorni seguenti procede l’avanzata, sempre tenacemente contrastata dal nemico che si ritira verso l’Hermada e le foci del Timavo, il 31 maggio è sotto la quota 145 sud, a poche centinaia di metri dal paese di Medeazza. Per tentare di alleggerire la pressione sulla sua ultima linea, il nemico ai primi di giugno lancia un poderoso contrattacco che fa arretrare la nostra prima linea; la Brigata Arezzo, in quel momento a riposo accorre sul luogo dello scontro, ricaccia indietro l’avversario, ma per poco, perché per il mancato arrivo delle riserve si trova isolata e viene quasi annientata. L’8 giugno scende a riposo, in quei giorni terribili di battaglia ha perso 3081 soldati e 118 ufficiali. In agosto, XI Battaglia dell’Isonzo, la Arezzo raggiunge le sue vecchie posizioni di fronte all’Hermada; formata una colonna d’attacco col 78° fanteria della Brigata Toscana, si lancia contro le quote 146 e la linea Komarje – Flondar: la lotta rimane accanita per diversi giorni, il 30 e 31 agosto gli austriaci tentano un’altra azione disperata come a giugno, parzialmente bloccata sul nascere, va loro meglio ai primi di settembre quando riescono a riprendere un po’ di terreno all’altezza delle foci del Timavo e di fronte a Medeazza. §§§§§§§§§§§§§§§§§§ “Alle 6 del mattino comincia quel grande memorabile bombardamento da Tolmino al mare. Il draken fa ascensione, io corro all’osservatorio antiaereo e vedo l’Hermada avvolta tra nembi di fumo. Alle 18 dietro i cespugli di una trincea viene fucilato un soldatino del 226° Fanteria disertore. È del 97 completamente sbarbato. L’angoscia mia è terribile non faccio altro che scendere e salire dall’osservatorio. Giunge il camion che lo conduce. Scende è abbastanza calmo. Raccomandò sua madre ai presenti, volle abbracciare tutti, si raccomandò che non gli tirassero al viso, incrociò le braccia e attese la scarica. Il viso rimase salvo. Una pallottola gli forò l’inguine, un’altra il polso, due il polmone destro trafissero, una la coscia sinistra passò da parte a parte e l’ultima, la sesta la spalla destra colpì. Giaceva a terra tranquillo come se dormisse, il sangue germogliava lento dalle ferite e in picciol rigagno correndo lungo la sinuosità del petto si riversava a terra. Era un bel ragazzo bruno e simpatico, pareva un fanciullo e morì rassegnato e con coraggio. Figlio unico di madre vedova (povera madre!) era siciliano. L’impressione che ritrassi da questa fucilazione fu enorme e mai si cancellò dal mio ricordo” Amedeo Fani – Il mio diario di guerra Fonte: Wikipedia la libera enciclopedia di internet
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