Dopo una quindicina di anni che colleziono la posta dei prigionieri di guerra, per me è diventato difficile trovare nuovi spazi di ricerca, esplorare strade non ancora battute. Eppure, è bastato cambiare per un attimo il modo di guardare la collezione, spostare lo sguardo dal servizio postale alle persone che se ne servirono, per trovare lo spazio per una piccola ma intrigante indagine: “che fine ha fatto la posta delle donne internate nei campi durante la II guerra mondiale? Perché è così rara?”
Restringendo il campo al contesto italiano, le situazioni in cui si verificò l'internamento di donne nei campi di prigionia furono poche, ma abbastanza significative. Attraverso l'esame di alcuni documenti postali cercherò di passarle in rassegna e di capire perché è così improbabile imbattersi in una lettera scritta da una donna, mentre non lo è altrettando trovarne una diretta ad una donna internata.
La prima situazione in cui si presume di trovare posta di donne internate è quella relativa alla Gran Bretagna, dove, con la dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940, trentamila italiani emigrati per lavoro divennero “stranieri nemici”. Furono internati nei campi nell'isola di Man, dove, tra gli altri, vi era anche il “Women's Internment Camp”. Non è però nota posta di donne italiane da esso proveniente, probabilmente ne furono internate assai poche e la loro posta, diretta a congiunti anch'essi internati in Gran Bretagna e coinvolti in un successivo trasferimento per mare verso il Canada e l'Australia, non ebbe che scarsissime possibilità di essere conservata.
Analoga situazione si verificò in Egitto, dove ugualmente esiste un “campo delle donne,” dal quale non si conosce corrispondenza, mentre è discretamente abbondante quella proveniente da campi per civili dove furono internati gli italiani maschi residenti in Egitto.
In Etiopia la caduta dell'Africa Orientale Italiana nel corso del 1941 e la restituzione del Paese al Negus provocò l'internamento nei campi amministrati dagli inglesi delle donne e dei bambini delle famiglie che vi si erano emigrate, attratte dalla speranza di una vita migliore di quella che conducevano in Italia. Mentre i maschi furono rapidamente trasferiti nei campi dislocati nelle colonie inglesi, l'internamento delle donne non fu immediato, tanto che nel mese di dicembre del 1941 molte di loro risultavano ancora nelle loro case in Addis Abeba, come evidente dalla posta ad esse indirizzata. Per le donne ed i bambini, la prigionia ebbe una durata limitata, dettata dalla necessità di allontanarle da Addis Abeba, restituita alla sovranità etiopica nel febbraio del 1942, e di raggrupparle nell'attesa del rimpatrio, che avvenne nel giugno del 1942 con le missioni delle “navi bianche”, patrocinate dalla Croce Rossa. (nota)
I campi destinati a raccogliere le donne erano a Dire Daua e ad Harar, città dell'Etiopia sulle quali gli inglesi mantennero l'amministrazione militare più a lungo rispetto al resto del territorio. Il numero delle internate e i mesi di internamento sono tali da generare una discreta quantità di posta, infatti non mancano lettere dirette a donne internate nei: “campo concentramento donne” - “campo case francesi” - “campo concentramento aereoporto”, “campo evacuati avio”, tutti a Dire Daua. E' nota pure una lettera diretta ad una donna nel campo di Amaresa, nella zona di Harar. Si tratta sempre di posta diretta alle donne, spedita dai loro mariti, fidanzati, padri o fratelli che si trovavano in stato di prigionia nei campi del Kenia, del Somaliland, dell'India (fig. 1).
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fig. 1 - Biglietto postale utilizzato dai prigionieri di guerra in India scritto il 17/05/1942 nel campo n. 28 di YOL, diretto al “Campo Concentramento donne Aereoporto – Dire Daua (A.O.I.). Non essendo stato possibile recapitare il biglietto alla destinataria nel campo di Dire Daua, perchè nel frattempo era stata rimpatriata, fu spedito alla Croce Rossa di Roma (timbro circolare rosso), che lo reindirizzò al suo nuovo recapito in Italia. |
Il contenuto delle lettere inviate dagli uomini può essere ben riassunto dalla seguente trascrizione di una parte di quella illustrata nella figura 1: “...Tu come stai? La bambina? Cerco sempre nei giornali un accenno ad una vostra eventuale partenza ma non c'è mai nulla e nemmeno si preoccupano di farci sapere nulla, né la Croce Rossa né altri... Spero sempre di ricevere un telegramma che mi comunichi il vostro imbarco. Sarebbe un bel sollievo sapervi in salvo...”.
Ma la posta spedita dalle donne, dov'è? In qualità di internate di guerra fruivano delle garanzie della Convenzione di Ginevra del 1929 per i prigionieri di guerra, non vi è motivo per pensare che a loro non fosse concesso di scrivere. Eppure, a fronte di una discreta quantità di posta ad esse diretta, conosco una sola lettera spedita da una donna, internata nel “campo evacuati” di Harar. E' un po' difficile da spiegare, l'unica ipotesi è che, trattandosi in maggioranza di posta diretta a congiunti internati anch'essi, ebbe poche possibilità di essere conservata, considerate le condizioni di vita nei campi e i frequenti trasferimenti a cui i maschi furono sottoposti.
Un'altra ipotesi, che si affianca alla prima senza escluderla, è che i maschi abbiano avuto meno cura nel conservare la corrispondenza, che la conservazione della memoria familiare sia un tratto più femminile che maschile.
Il contesto italiano vide anche la prigionia di donne straniere in Italia, cittadine di Stati con cui il nostro paese era entrato in guerra, donne inglesi in particolare.
La busta che presento è scritta da una di esse, internata nel campo di Venarotta in prov. di Ascoli Piceno. E' affrancata per 2 lire e 50 centesimi, nonostante godesse dell'esenzione sia della tariffa ordinaria, in quanto posta di internato civile di guerra, sia della tassa aerea, in virtù di uno speciale accordo con la Gran Bretagna, riguardante la posta aerea spedita dal'Italia, tanto dai prigionieri britannici, militari o civili, che dai familiari dei prigionieri italiani detenuti in Gran Bretagna. Anche ignorando le esenzioni, sarebbero comunque bastati 2 lire e 25 centesimi, la tariffa è in eccesso di 25 centesimi. Da notare la presenza del timbro in cartella “posta per internati civili di guerra via Roma Lisbona”, un timbro specifico della posta aerea dei P.O.W. diretta in Gran Bretagna (fig. 2).
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fig. 2 - Busta spedita il 13/04/1943 da Venarotta, diretta a miss M.B. Jack, in Gran Bretagna. Al centro il timbro in cartella blu “Posta Aerea per internati civili di guerra Via Roma Lisbona”, sul lato sx il nastro della censura civile inglese e sul retro quello dell'Ufficio Censura Posta Estera I di Roma.
Un ritaglio del retro della busta con l'indirizzo della mittente, sig.ra Constance Jack. |
Nei campi allestiti in Italia furono internate anche donne ebree, profughe dai paesi occupati dai tedeschi, le quali, fino all'Armistizio dell'8 settembre '43, trovarono in essi un rifugio ad una persecuzione più feroce.
Anche donne provenienti dalle zone della Jugoslavia occupate dal Regio Esercito furono rinchiuse nei campi italiani, deportate, sia pure in misura assai inferiore ai maschi, nel tentativo di stroncare la resistenza della popolazione.
La busta presentata fu sicuramente diretta ad un' internata che rientra in uno dei due casi sopradescritti, è difficile comprendere se nel primo o nel secondo. Non è nemmeno da escludere che si trattasse di una donna che aveva entrambe le caratteristiche (fig.3).
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fig. 3 - Busta di lettera spedita ad una donna internata nel campo di Servigliano (AP). Esente da affrancatura, porta il timbro circolare nero dell'Ufficio Censura Posta Estera I di Roma e quello viola con lo stemma sabaudo del comando del campo. |
Un altro scenario che vide delle donne italiane finire internate a causa della guerra è quello della caduta del fascismo prima e della fine della Repubblica Sociale Italiana due anni dopo.Tra i civili che gli Alleati internarono perché fortemente compromessi con il regime fascista vi furono anche delle donne (fig. 4).
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fig. 4 -
Biglietto postale diretto ad una donna prigioniera nel “Civilian Internee camp I” di Padula, a Salerno, spedita da Roma il 26/02/1945.
E' evidente il timbro della censura militare americana. |
La fine della R.S.I. travolse anche il corpo delle ausiliarie, alcune delle quali, risulta 367, furono rinchiuse dagli Alleati al pari dei loro camerati militari. I campi inizialmente loro destinati furono il PWE 339 di San Rossore e il PWE 334 di Scandicci, ma la presenza di internate della RSI è rilevabile anche in altri campi, per es. nel “R. Civilian Internee Camp” di Collescipoli (Terni) e nel 370 POW camp di Riccione. Si tratta di posta rara, poiché piccoli furono i numeri, senza distinzione di quantità tra posta spedita dalle donne o posta ricevuta (fig. 5).
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fig. 5 -
Cartolina con la comunicazione dell'internamento inviata alla famiglia da una prigioniera nel campo americano n. 334 di Scandicci in data 23 maggio 1945, attraverso il Comitato Internazionale della Croce Rossa di Ginevra .
La mittente è una giovanissima donna già inquadrata nelle ausiliarie della RSI. |
Gli scenari fin qui descritti hanno in comune il fatto che le prigioniere fruivano delle garanzie della Convenzione di Ginevra.
Esistono altri scenari che videro donne imprigionate a causa della guerra o dell'occupazione del territorio, scenari ancor più tragici di quelli fin qui descritti, basti pensare alle donne ebree rastrellate per essere inviate nei campi di sterminio, alle donne partigiane catturate, oppure alle donne delle zone dell'Istria o della Dalmazia imprigionate sia dopo l'8 settembre '43, che dopo la fine della guerra. Si tratta di scenari in cui le prigioniere non godevano di alcuna garanzia e solo per le donne ebree è stata rintracciata qualche corrispondenza, alle altre è piuttosto improbabile che sia stato concesso di scrivere alla famiglia e di spedire attraverso un servizio postale regolare.
Pur circoscrivendo l'ambito della ricerca al periodo delle seconda guerra mondiale e limitandolo all'Italia, gli scenari descritti non esauriscono le possibilità di rinvenire documenti postali. Credo che, con pazienza, si possa costruire un piccola collezione, per contribuire a gettare un po' di luce su un aspetto, sicuramente secondario, ma non certo insignificante.
Nota:
Dal mese di aprile 1942 al mese di agosto 1943, 4 navi con le insegne della Croce Rossa effettuarono 3 viaggi dall'Italia ai porti dell'Africa Orientale e ritorno per rimpatriare 30.000 donne, bambini e invalidi
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