LA POSTA DEI PRIGIONIERI DI GUERRA |
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Storie di uomini ….e storie di posta | ||||
di Vinicio Sesso | ||||
A scrivere è un Maggiore dell’esercito di Cecco Beppe, il destinatario è la moglie Elsa Sturm, a Jihlava (la più antica città mineraria della Repubblica Ceca) situata sull'antica frontiera tra Moravia e Boemia . La cartolina risulta partita dal luogo d'internamento situato a San Pellegrino – Bergamo Hotel Como, bellissima cittadina lungo il fiume Brembo. Sul retro, in tedesco, il messaggio alla moglie: Carissima! dal 16.12. Sono a S. Pellegrino presso Bergamo, prima a Bellagio e Verona. Sono in piena salute! State senza preoccupazioni; il clima, l'alloggio e il vitto, il trattamento sono molto buoni. Non ho notizie di te e dei bambini, il che mi preoccupa. Vi penso ininterrottamente. Il giorno del rientro a casa da voi sarà il più bello della mia vita. Ti scrivo spesso per mezzo del telegrafo della croce rossa per comunicarvi le condizioni e il luogo di permanenza. Se avete bisogno di soldi ipotecate la casa. Ti danno ancora la provvigione? Tu hai diritto al doppio del sostegno economico. Sono stato preso prigioniero a Mezzocorona il 5.11. Ho ricevuto risposta telegrafica da Hans e fu un giorno di gioia. Dio vi protegga. Con immensa nostalgia di te e dei bambini, vi bacio. 1.1.1919 Hugo Sturm Non risultano annulli di partenza o in arrivo e nemmeno bolli di censura. “Il clima, l'alloggio, il vitto sono molto buoni” scrive il Maggiore. Possibile che sia davvero così? O magari è solo una premura verso la moglie per non farla ulteriormente preoccupare? Per risolvere questo dubbio bisogna ricorrere agli storici, benché questo della prigionia di guerra è un tema affrontato molto superficialmente se non del tutto rimosso, e non solo in Italia. Il testo fondamentale di riferimento (di cui consiglio vivamente la lettura) è “La prigionia di guerra in Italia 1915 – 1918” di Alessandro Tortato, edito da Mursia Editore nel 2004. L’autore, grazie alla documentazione rinvenuta in inediti archivi, ha ricostruito in maniera esaustiva la vicenda, indagandola e sezionandola da diverse prospettive: dalla legislazione nazionale ed internazionale, alla collocazione e organizzazione dei luoghi di internamento, all’impiego dei prigionieri nei lavori, al ritorno in patria etc. etc Di particolare interesse, il dato numerico relativo ai prigionieri in Italia e il trattamento loro riservato. Il primo dato è relativo al 3 gennaio 1917: il numero di prigionieri internati risulta pari a 79.978 così distribuiti: corpo d'armata 1 Torino 7 campi 842 corpo d'armata 2 Alessandria 14 campi 4.699 corpo d'armata 3 Milano 0 corpo d'armata 4 Genova 11 campi 7.843 corpo d'armata 5 Verona 1 campo 330 corpo d'amata 6 Bologna 6 campi 1.126 corpo d'armata 7 Ancona 9 campi 13.039 corpo d'armata 8 Firenze 13 campi 2.214 corpo d'armata 9 Roma 5 campi 15.846 corpo d'armata 10 Napoli 11 campi 19.394 corpo d'armata 11 Bari 12 campi 5.733 corpo d'armata 12 Palermo 22 campi 8.897 corpo d'armata 13 Rodi 1 campo 15 totale 79.978 (di cui 1.633 ufficiali, 332 Aspiranti cadetti, 78.013 militari di truppa ). Questi numeri sono destinati a salire in breve: al 24 ottobre 1918 i prigionieri avevano raggiunto il numero di 180.000 fino a raggiungere quota 477.024 al termine del conflitto. I luoghi d'internamento erano costituiti inizialmente da caserme, conventi, fortezze ai quali vengono successivamente affiancati nuovi campi costituiti da baracche in pietra o legno. Come è facile notare, i luoghi di internamento erano distribuiti su tutto il territorio nazionale in maniera molto capillare, con una netta prevalenza nel centro–sud, sia per numero di internati che di campi, ben lontani quindi dai luoghi dove infuriava la battaglia anche per evitare contatti con le popolazioni più interessate dal conflitto e più facilmente suggestionabili da eventuali azioni di propaganda. Il trattamento riservato ai prigionieri era stabilito dal capo VII “Trattamento dei prigionieri” “Raccolta delle disposizioni di carattere permanente relative ai prigionieri di guerra e ai disertori del nemico” redatto nel 1916 e modificato nel 1918 che recepisce sostanzialmente le disposizioni previste dalla Conferenza di pace dell'Aia del 1907 alla quale anche l’Italia aveva aderito: “Senza venir meno a quel contegno umano e cortese che è segno di civiltà, si usi verso i prigionieri fermezza e austerità di tratto e si facciano in ogni circostanza osservare dai medesimi quelle forme di rispetto e di deferenza che i nostri regolamenti esigono dai militari italiani e che si addicono alla condizione di nemici vinti; i quali scambiano spesso per debolezza la nostra bonaria indulgenza e la nostra espansiva cordialità.” Nei riguardi del vitto prevede quanto segue: “Agli uomini di truppa prigionieri compete normalmente la razione alimentare assegnata al soldato del Regio Esercito in tempo di pace. È però fatta facoltà ai comandi dei reparti prigionieri, quando richiesti dalla maggioranza e sempreché lo giudichino opportuno, di modificare tale razione senza variarne l'importo, facendo distribuire in prevalenza patate e legumi di cui è fatto largo uso nella razione ordinaria del soldato austro – ungarico.” L'alloggiamento deve rispondere ai seguenti requisiti: “I locali destinati all'alloggiamento della truppa siano rispondenti a tutte le esigenze dell'igiene e della sicurezza, evitando soverchi agglomeramenti. Per la giacitura, pagliericci, preferibilmente sollevati da terra con tavole e cavalletti, frequentemente rinfrescati o quando occorra rinnovati; temporaneamente ed in caso di necessità anche paglia a terra. Ogni prigioniero sia provveduto delle occorrenti coperture, a secondo della stagione, di asciugamano e sapone per la polizia personale”. Per corrispondenza, le regole erano queste: “I prigionieri di guerra possono corrispondere con le loro famiglie... Agli ufficiali prigionieri è in massima consentito scrivere mensilmente otto cartoline postali; ai militari di truppa, pure mensilmente quattro cartoline. Esse non dovranno essere scritte con caratteri troppi fitti e in nessun caso potranno contenere quindici righe..” (dalle righe scritte dal nostro Maggiore si evince che lo stesso era a perfetta conoscenza del regolamento) Quale è stata, allora, la condizione dei militari austro – ungarici prigionieri degli italiani? Il Prof. Tortato arriva a questa conclusione : “I documenti hanno inequivocabilmente rilevato che lo sforzo profuso per garantire ai prigionieri un trattamento dignitoso fu abnorme. L'Italia, nei limite delle possibilità, assolse con onore il proprio dovere anche nei momenti più difficili, anche dopo Caporetto, anche nelle giornate del successo, quando la massa di prigionieri assunse dimensioni spaventose. Memorialistica e fonti d'archivio combaciano: sempre si mangiò, sempre si poté comunicare con i propri cari. Rari i casi di violenza gratuita. Buoni i rapporti con la popolazione civile. Correttezza, dunque, con le dovute distinzioni. Le gerarchie permangono: l’ufficiale è ufficiale e la truppa è truppa anche quando sono i primi che tornano a casa dopo i sottoposti...”. Più controverso, paradossalmente, il comportamento dell’Italia riguardo ai propri prigionieri. Giovanna Procacci nel suo pregevole “Soldati e prigionieri italiani nella Grande Guerra “afferma: “La classe dirigente italiana aveva condannato a morire di fame i prigionieri in mano nemica. Lo aveva fatto deliberatamente rifiutando fino all'ultimo l'invio di qualsiasi aiuto alimentare con un'inconsueta irremovibilità di stampo teutonico. Sonnino e Cadorna furono i più tedeschi tra gli italiani nel mantenere salde le proprie concezioni ottocentesche della politica e della guerra. Un'anomalia - per un popolo che da sempre, continua ad imputarsi un'endemica attitudine all'opportunismo – piangere martiri della coerenza” Circa 100.000 italiani prigionieri degli austro - ungarici – tedeschi, infatti, morirono nei campi di concentramento soprattutto per fame – sia perché i loro detentori non erano in grado di assicurare il vitto che scarseggiava anche per loro, a causa delle sanzioni economiche a cui erano assoggettati, sia perché le autorità politiche (Sonnino) e militari (Cadorna) ritennero di non corrispondere aiuti, pur richiesti, per non invitare ad eventuali diserzioni i nostri soldati ancora in trincea che potevano essere tentati di alzare bandiera bianca per assicurarsi salva la vita ed un piatto sicuro. Una coerenza, dunque, quella di Sonnino e Cadorna, effettuata sulla pelle della povera truppa! Ma ritorniamo alla cartolina del Maggiore Sturm “Sono stato preso prigioniero a Mezzocorona il 5.11” Probabilmente fu tra gli ultimi militari dell’esercito austro-ungarico ad essere fatto prigioniero, peraltro ben oltre la fine della guerra. Alessandro Tortato mi ha confermato, con una cortesissima mail, la possibilità che la cattura fosse avvenuta in quella data, in relazione all'enorme confusione che regnava in quei giorni. Sulla data effettiva di fine ostilità , peraltro, è stata fatta chiarezza molto tempo dopo la fine della guerra. È accertato, ormai, che il Comando Supremo dell'esercito austro-ungarico accettò le clausole d'armistizio nella mattinata del 3 novembre 1918, mentre l’esercito italiano dichiarò che l'armistizio entrava in vigore dalle ore 15 del giorno 4 novembre. In tal arco di tempo, quindi furono considerati quali prigionieri migliaia di militari che ritenendo finito il conflitto avevano consegnato le armi ai soldati italiani che, viceversa, si ritenevano, invece, ancora in guerra. Presumibilmente alcuni reparti, non ancora a conoscenza della fine ostilità anche per l'Italia, continuavano a catturare soldati nemici anche il giorno successivo. Il luogo d'internamento non risulta negli elenchi in possesso dei Tortato. Dopo la vittoria italiana, per il gran numero di prigionieri catturati durante gli ultimi giorni di guerra, si moltiplicarono questi luoghi: è possibile, dunque, che vi fossero militari distaccati a S. Pellegrino Infine, cosa intendeva il Maggiore quando scrive: “Ti danno ancora la provvigione? Tu hai diritto al doppio del sostegno economico.”? Ai prigionieri competeva un assegno mensile in relazione al grado. Per i Maggiori, secondo gli accordi intercorsi tra i due Governi, era previsto in lire 4.400, valore intermedio tra quanto spettante a un Generale dell’esercito (lire 15.000) e il livello più basso della truppa (lire 0,30). Gli ufficiali e gli allievi avevano facoltà di rinunciare mensilmente ad una parte del proprio stipendio, che per il tramite delle Croci Rosse dei due paese veniva versato alle singole famiglie. Presumibilmente Hugo Sturm era stato da poco promosso da Tenente a Maggiore e pertanto ricordava alla moglie che all'aumento di grado corrispondeva il raddoppio del sostegno economico, oppure avendo rinunciato al compenso italiano spettava al coniuge lo stipendio come militare da parte del governo Austro – Ungarico oltre al sussidio del Governo italiano. Ipotesi , ovviamente. Infine: quando è tornato in patria il nostro Maggiore? È certo che il 1/1/1919 fosse ancora in Italia come dimostra la cartolina. È probabilmente ci sia rimasto ancora per un po’. Gli ultimi prigionieri rientrarono verso la fine del 1919, “tra l'indifferenza, il silenzio, il sospetto, il dileggio e le umiliazioni, ciascuno con i suoi ricordi, ciascuno con il suo dramma”, scrive Giovanna Procacci. Per i loro connazionali erano soldati vinti, con la colpa di essere rimasti vivi e tornati perfino in buono stato dalla prigionia. Forse per il maggior Sturm, nonostante la felicità di riabbracciare la famiglia, “il giorno del rientro a casa” non fu “il più bello della mia vita”. La stessa accoglienza toccherà ai reduci italiani della tragica spedizione in Russia, che lo scrittore e storico Nuto Revelli (ufficiale degli alpini in Russia, poi comandante partigiano) così commenterà ne “La guerra dei poveri”: “Poveri italiani, gente che ha combattuto e sofferto, gente che nel cuore porta ancora le visioni dei compagni caduti e che oggi si vede derisa, segnata a dito come si segnano i vinti che buttano le armi”. Tanti sono i fili spinati dietro i quali gli uomini imprigionano i propri simili. Alcuni sono chiamati libertà. Vinicio Sesso
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