IL CONTESTO
Sui militari italiani caduti nelle mani dell'ex alleato, infuriato per il tradimento dopo l'8 settembre 1943, si è scritto così tanto che tentare di offrire la loro testimonianza da un punto di vista meno conosciuto è un'impresa senza possibilità di successo.
Quello che proverò a fare è scegliere lettere e cartoline provenienti, anziché dai grandi campi in Germania e in Polonia, dai vari fronti di guerra in cui erano impegnati gli eserciti del III Reich, nei quali furono impiegati, come mano d'opera servile, più di 100.000 ex militari italiani che erano stati disarmati, oppure catturati dopo aver opposto resistenza, in seguito all'armistizio firmato dal governo italiano con gli Alleati e reso noto l'8 settembre 1943.
Le vicende dei 700.000 uomini caricati sui treni ed inviati negli stalag (campi di prigionia per militari di truppa) e negli offlag (campi di prigionia per ufficiali) del Grosse Reich (Germania e General Gouvernment, cioè Polonia), dove andarono a far compagnia ai prigionieri russi, francesi, inglesi, americani e delle altre nazioni Alleate, sono state abbondantemente testimoniate da una vasta memorialistica e oggetto di svariati studi. Non così quelle dei non meno sfortunati che rimasero in piccoli gruppetti al servizio delle unità militari tedesche, sparpagliati per tutto il teatro di operazioni europeo, che hanno goduto di molta minor diffusione.
Si trattava quasi esclusivamente di militari di truppa, quindi, con scarsa propensione all'uso della scrittura, ragione per cui la memorialistica per loro è minima, se non inesistente. Essendo distribuiti nelle formazioni militari, anche piccole, avevano poche possibilità di creare un gruppo di compatrioti abbastanza forte da potersi sostenere psicologicamente. Erano nettamente sfavoriti per quanto riguarda la comunicazione con le famiglie, essendo serviti dalla Feldpost (Posta militare) tedesca ed essendo spesso in prossimità del fronte o in zone poco favorite dai collegamenti e non potendo certo fruire del servizio postale aereo. La loro attività era quella di manovalanza: nelle manutenzioni ferroviarie o stradali, al servizio della Lufthwaffe negli aeroporti militari, come schiavi della TODT nelle miniere in Serbia o nelle costruzioni militari in cui era impegnata.
Parecchi di loro furono così sfortunati che, sopravvissuti ai tedeschi, furono “liberati” dall'Armata Rossa sovietica che avanzava verso ovest o dall'Esercito di Liberazione Jugoslavo che combatteva per scacciare i tedeschi dalla Jugoslavia, e così beneficiarono di un secondo soggiorno nei campi di prigionia, di nuovo a lavorare come schiavi, denutriti e scalzi, per parecchi mesi ancora dopo la fine della guerra e, nel caso di quelli reinternati in Jugoslavia, anche fino alla fine del 1946.
L'esame della loro posta evidenzia subito un problema di interpretazione del loro status giuridico: in alcuni casi l'uso di moduli specifici per i prigionieri di guerra, oppure la qualifica di “internato” nell'indirizzo del mittente, sgombra il campo da qualsiasi dubbio sul fatto che si tratta di un prigioniero; in altri casi, l'uso di lettere commerciali (per la posta militare tedesca non vi era l'obbligo di moduli specifici, bastava l'indicazione di “Feldpost” in alto per fruire dell'esenzione di tassa) e la qualifica di un qualsiasi grado militare (soldato, caporal maggiore, aviere, ecc.) lasciano ampio spazio alla possibilità che si tratti di un militare che aveva optato per la collaborazione con i tedeschi, anche se non come combattente ma come ausiliario. Non che le condizioni di vita cambiassero significativamente, l'unico vantaggio sembrerebbe essere stato quello di maggiori possibilità di comunicare con le famiglie, sia pure solo per coloro che avevano famiglie residenti nell'Italia sotto controllo dei tedeschi. Gli altri, quelli con famiglie residenti nell'Italia sotto controllo degli Alleati non avevano alcuna possibilità se collaboratori dei tedeschi, rarissime possibilità se internati.
E' questo il motivo per cui la grande maggioranza della posta proveniente da questi ex militari italiani al servizio delle forze armate tedesche è diretta verso l'Italia della R.S.I.
E' abbastanza superfluo sottolineare che, in quelle condizioni, nei casi in cui fosse stata offerta la possibilità di diventare collaboratore dei tedeschi, la scelta non fu dovuta a convinzioni ideologiche ma alla valutazione, individuale e contingente, sulle possibilità di sopravvivenza e di ritorno a casa.
LA CORRISPONDENZA
La posta degli internati militari che non furono trasportati nei grandi campi del Grosse Reich proviene principalmente dai Balcani, in misura minore dal fronte nord orientale e dalla Francia e dalle altre località occupate dai tedeschi. Un caso particolare riguarda gli internati di Rodi, che rimasero nell'isola perché la Wehrmacht non riuscì a sgombrarli, il cui lavoro più che alle necessità militari era finalizzato alla sopravvivenza.
Dopo le rituali rassicurazioni sulla salute, sempre ottima indipendentemente dal fatto che fosse vero o no e la richiesta di ricevere conferme altrettanto tranquillizzanti su quella dei familiari, dopo gli immancabili ragionamenti sulla posta spedita e sulla mancanza o ritardo delle risposte, quasi tutte le lettere e le cartoline presentano dei testi molto simili ad un colloquio familiare, come se il destinatario fosse seduto dall'altra parte del tavolo. E' sempre la famiglia il centro di questo colloquio, quasi che, attraverso il loro scritto, il marito, il figlio, il fratello assenti, cercassero di mantenere il loro ruolo. Non manca quasi mai il richiamo alla fiducia in Dio, a conferma della diffusa e convinta fede religiosa che impregnava lo strato sociale di provenienza di questi prigionieri, che non erano mai degli ufficiali.
L'onnipresente censura impedisce che le lettere e le cartoline dei prigionieri siano significative dal punto di vista della descrizione delle condizioni di vita, della localizzazione geografica, di considerazioni personali sul momento storico e sulle vicissitudini politiche e militari dell'Italia. Capita, tuttavia, che sul primo argomento qualcuno perda la consapevolezza che le sue parole saranno controllate, si lasci quindi andare e che i censori non siano particolarmente pignoli, regalandoci qualche reportage sulla vita nei campi che, rispetto alla rievocazione a posteriori, ha il vantaggio di essere in presa diretta.
La prima lettera che presento è molto precoce ed è emblematica della situazione iniziale, quando nulla era definito sulla sorte di questi uomini. Può darsi che il mittente, proprio nei giorni in cui scrisse la lettera, avesse maturato la decisione di accettare di diventare collaboratore, oppure fosse in attesa di essere inquadrato come prigioniero in qualche formazione militare o in qualche cantiere della Todt, che aveva dei campi nella zona di Marsiglia. Quello che invece è evidente è lo stato d'animo che traspare.
Lettera inviata dall'indirizzo di Feldpost 58035 B datata 3 ottobre 1943 e proveniente dal battaglione accompagnamento trasporto prigionieri di Tolone, in Francia. Giunse a destinazione a Monza l'8 novembre 1943. Sono presenti molti segni di censura: oltre al nastro per richiudere la busta dopo l'ispezione e ai timbri dell'Ufficio di censura della Wehrmacht di Monaco di Baviera, sul foglio con il testo vi è la traccia di 2 diversi reagenti chimici per la ricerca di scritti con inchiostri invisibili. (Fig. 1)
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Fig. 1 - fronte e verso |
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Fig. 1 - l'interno |
26/9/43
Cara mamma,
non posso scrivere quello che vorrei: mi devo solo limitare ad informarti della mia salute.
Ti assicuro della mia incolumità. Voglio solo sperare che anche tu, papà e tutti, vi troviate in perfetta salute.
Ti prego mamma, non pensare a me; sarebbe fra l'altro inutile.
Che mi trovo in questa condizione è dal 10 di questo mese.
Mi sono già dilungato troppo; perciò termino mandandoti un grosso bacio e tanti cari saluti. Bacia per me: papà, mamma, Bruno, Lidia, Romana e Giovanna.
Tuo Roberto
P.S. Aspetta a scrivere sino a che non ti mando il giusto indirizzo.
Ciao mamma e speriamo di poterci presto rivedere.
Sapete qualcosa di Luigi?
La seconda lettera proviene da un militare internato a Rodi. I militari italiani prigionieri a Rodi ebbero la possibilità di informare le famiglie sulla loro solo sorte alcuni giorni prima del Natale del 1943. Col proseguire della guerra in Europa, gli abitanti di Rodi, e di conseguenza anche i prigionieri, ebbero a patire gravissima carenza dei beni di prima necessità.
Lettera inviata dal campo n. 5 di Campochiaro a Rodi, diretta a Osimo (Ancona), dove giunse il 26 febbraio 1944. Sono presenti il nastro di chiusura e i timbri dei censori dell'Ufficio di Monaco di Baviera.(fig. n. 2)
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Fig. 2 - fronte e verso |
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Fig. 2 - interno |
Lì 24-12-1943
Cara mamma
Dopo un lungo silenzio oggi non so come esprimere la grande gioia di unirmi a voi con un mio scritto.
La mia salute è ottima e così mi voglio augurare sia di voi tutti.
Domani, ricorrendo il Santo Natale, il mio pensiero sarà sempre su di voi tutti, augurandovi un buon Natale.
Non state in pensiero per me, perché anche io la passo come sempre con i miei vecchi compagni di lunghi 4 anni. Non so se potrò scrivere anche ad Annina, ma mi raccomando in caso di fargli sapere mie notizie facendogli leggere questa mia lettera e ditegli che mi scrivesse con questo indirizzo che ora vi dirò.
Come va il piccolo Mario? Spero bene, datemi notizie di Attilio.
Come vi dico, sto benissimo, stiamo lavorando per una azienda tagliando della legna nei boschi.
Date mie notizie a tutti, come vi ho già detto ad Annina e sua famiglia. Sto con immensa ansia di vostre notizie.
Questo è il mio indirizzo, potete scrivermi tutti.
Cap.le Cecchi Guerrino
internato campo di raccolta n. 5 Rodi
Con immensa gioia vi bacio a tutti
vostro figlio Guerrino
(ciao)
La terza lettera proviene dai Balcani, in un periodo più avanzato della prigionia. E' diretta nel centro Italia, ancora non liberato quando fu scritta ed il mittente non si qualifica, per cui è impossibile sapere con certezza se si tratta di un prigioniero o di un collaboratore. Testimonia la difficoltà a mantenere i contatti con la famiglia e la fiducia nella Divina Provvidenza.
Lettera inviata il 08/05/1944 dal campo XV dell'Organizzazione Todt in Serbia, avente per indirizzo il numero di Feldpost 45083B. Sulla busta, oltre al timbro della Feldpost tedesca, vi è quello circolare rosso dell'Ufficio di censura di Monaco di Baviera e quello dell'Organizzazione TODT.
(fig. 3)
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Fig. 3 - fronte e verso |
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Fig. 3- interno |
3-5-1944
Cara moglie con la presente ti noto che sto in ottima salute, meglio spero sapere di voi tutti. Cara ho scritto altre due lettere prima di questa spero che li avrete ricevuti queste due era da parecchio tempo che non ricevevate mie notizie chissà cosa avrete pensato di me mentre io sto benissimo, vorrei almeno un solo rigo da te, non per altro ma per sapere almeno se state ancora a casa io ho tanti pensieri prego il nostro buon Dio per me e per tutti, spero che presto faccia finire tutto, e così un giorno potremo essere insieme per eterno. Io dico sempre solo il Signore ci vuole a provvedere che tutto finisce. Altro non mi prolungo per me state contenti.
Saluti alla tua famiglia e alla nostra, saluti e baci a te e al piccolo baci alla mia cara mamma.
Tuo Di Marco Serafino
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Della quarta lettera, proveniente dall'indirizzo di Feldpost 45083U, assegnato campo n. 33 dell'organizzazione Todt in Serbia, ugualmente scritta da un mittente che non dà la sua qualifica, tralascio la busta e la parte relativa alle informazioni sulla salute e sulla difficoltà a comunicare e trascrivo solo il testo relativo alle condizioni di prigionia. (fig. 4)
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Fig. 4 |
13^ lettera 16 luglio 1944
Mia Rosetta cara....
Ti rispondo che sto bene, ma sempre un bene da “prigioniero” perciò lascio a te immaginare il resto, ti basti dire che dal 25/1 tutto il mio guardaroba è composto da un paio di pantaloni una camicia un paio di calze e un paio di zoccoli di legno, se zoccoli si possono chiamare due pezzi di legno con due cinturini a traverso. Se tu sei stufa di questa vita, ti puoi immaginare io, ci sono spesse volte che penso che se questa vita si dovesse prolungare per tanto tempo ancora mi augurerei morto.
Solo un pensiero mi conforta, ed è il tuo,.....
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