È una delle prigionie più emblematiche e coinvolgenti della storia italiana nella seconda guerra mondiale.
Il coro delle voci non è più solo maschile, non è un canto gregoriano ma un coro verdiano e le donne sono una voce quasi sovrastante, anche quando non sono rinchiuse fra i reticolati. Mancano i bambini, che pure c'erano, perché è difficilissimo trovare un loro scritto dalla prigionia, probabilmente per questioni di priorità nell'uso della possibilità di scrivere.
L’Africa Orientale Italiana crollò da gennaio a novembre 1941, sotto i colpi delle Armate Britanniche, rinforzate dai sudafricani, da un contingente di belgi proveniente dal Congo, da un piccolo esercito regolare del Negus, dall’appoggio delle bande abissine, dopo aver opposto una tenace resistenza, protrattasi per 11 mesi, pur nella quasi totale mancanza di rifornimenti dalla madre patria.
Gli italiani si asserragliarono nei “ridotti”, territori più impervi e meglio difendibili, per ridurre l’effetto dell’inferiorità dei mezzi, tanto schiacciante su terreni aperti. Mentre la maggior parte delle truppe coloniali disertava, essi cercarono di protrarre la resistenza il più a lungo possibile, per tenere impegnate quantità ingenti di forze inglesi in questo scacchiere, sottraendole a quello nord africano.
Ogni sforzo venne altresì fatto per arrendersi a forze regolari e non essere sopraffatti dalle bande abissine dei ras locali.
In Etiopia, i civili italiani, comprendenti anche donne e bambini, furono raggruppati in alcune città, per essere meglio protetti. Quando Addis Abeba dovette essere abbandonata, furono lasciati 5.000 uomini della Polizia Africa Italiana e di altri corpi a protezione della popolazione civile, tra cui erano presenti 20.000 donne e bambini. Anche a Gimma, nel Galla e Sidama, al momento della resa vi erano 2.000 civili.
I prigionieri militari furono raccolti in campi provvisori in prossimità dei luoghi della resa e poi avviati, abbastanza rapidamente, fuori dall’A.O.I. La loro destinazione fu diversa, dipendente dal fronte di cattura: quelli catturati in Eritrea e a Gondar vennero inizialmente internati in Sudan per poi essere, in prevalenza, inviati in India, quelli catturati in Etiopia e in Somalia vennero diretti verso il Kenia.
Anche il trattamento dei civili fu differenziato, a secondo se residenti nelle colonie dove la presenza italiana era consolidata, Eritrea e Somalia, oppure nell’Etiopia presa con la forza solo 5 anni prima.
I civili italiani residenti in Eritrea e in Somalia furono parzialmente internati, solo gli uomini atti a portare le armi. Circa la loro destinazione, si può notare corrispondenza proveniente dal campo n. 337 di Erba in Sudan, dai campi della Rodesia del Sud, dal campo n. 3 di Nanyuki in Kenia per i civili originari dall’Eritrea e dal n. 356 di Eldoret in Kenia per i civili provenienti dalla Somalia. Esiste, tuttavia, anche una discreta quantità di moduli della Croce Rossa destinati alla corrispondenza fra civili residenti in paesi nemici, utilizzati per scrivere in Italia da persone che rimasero nella loro residenza in Eritrea o in Somalia e che nel messaggio fornivano anche accenni alla normale vita civile.
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fig. 1 – Cartolina illustrata scritta da Vittorio d'Africa (vicino a Mogadiscio) il 12 marzo '41, diretta in Italia. Sono presenti il timbro di censura delle Middle East Forces britanniche e quello della censura italiana. Sono visibili le tracce dei segnatasse che incollavano il mod. 94 bis che copriva il testo fino a quando veniva riscossa la tassa. |
I civili italiani dell’Etiopia vennero tutti, gradualmente, raccolti nei campi. Mentre gli uomini validi furono rapidamente trasportati in Kenia o nella Rodesia del Sud, le donne risultano ancora presenti per parecchi mesi dopo la caduta della Colonia, come si può notare dalla corrispondenza, dove, in alcuni casi, si nota essere indicato come recapito un’abitazione civile. Furono poi anch'esse raccolte nei campi, a Dire Daua e ad Harar in Etiopia o a Nyeri in Kenia, per poi essere rimpatriate nel 1942 e nel 1943 con le 3 missioni delle “Navi Bianche”.
Mantenere i contatti fra i vari membri delle famiglie fu la preoccupazione che più assillò i nostri connazionali rimasti vittime della fine dell’Impero.
La Gran Bretagna aveva sottoscritto la Convenzione di Ginevra per i prigionieri di guerra del 1929 e aveva l’obbligo di dare attuazione alle garanzie in essa previste, a partire dall’art. 36.
Le condizioni oggettive erano molto complicate, a causa del numero dei prigionieri, militari e civili, che aumentava mano a mano che l’offensiva progrediva e a causa della loro dispersione: alcuni erano già stati sgombrati, altri erano in transito verso i campi, altri si erano appena arresi. Il territorio su cui erano dislocati, oltre che vasto e geograficamente sfavorevole, era servito da vie di comunicazione quasi sempre allo stato embrionale, con i trasporti ferroviari limitati ad una linea in Etiopia, una in Eritrea e un brevissimo tratto in Somalia.
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Fig. 2 – La stazione di Dire Daua sulla linea Addis Abeba – Gibuti. |
La sensazione di isolamento e di precarietà che pervase coloro che rimasero liberi in territorio occupato dal nemico, con tutti gli uomini validi internati e allontanati, è ben percepibile nelle lettere inviate dalle donne verso i campi. In direzione opposta, le lettere degli uomini dai campi riflettono l'angoscia di chi era consapevole di aver lasciato la sua famiglia alla mercé degli eserciti che fino a poco prima avevano combattuto.
Emerge una religiosità profonda, una fiducia nella Provvidenza di manzoniana memoria che impedì alla delusione di trasformarsi in disperazione. Questi sentimenti sono prevalenti nelle lettere fra coniugi, che avevano la responsabilità della famiglia, meno nelle comunicazioni degli uomini singoli, che accolsero la sventura della prigionia come una delle tante possibilità dell'esistenza. Dopotutto, quella peggiore, la morte, era stata evitata.
Domina la famiglia, ristretta ed allargata, vero filo conduttore della vita italiana, contenitore in cui tutto, preoccupazioni materiali e sentimenti, confluisce.
Con il passare del tempo arrivò la rassegnazione, anche nelle donne, unita alla consapevolezza che, molto probabilmente, nelle colonie non c'era l'avvenire sperato e non restava che attendere il rimpatrio.
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Fig. 3 – Particolari del campo di Eldoret, in Kenia, nel 1945. |
La prigionia si trascinò per quasi 6 anni e le lettere degli ultimi periodi riflettono lo sconforto di questi uomini che, a guerra finita, ancora non vedevano la conclusione delle loro sofferenze. Molti di loro trascorsero l'intero anno 1946 senza rimpatriare.
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Fig. 4 – Lettera inviata da Addis Abeba a Soleto (Lecce), dove fu consegnata il 7 ottobre 1941. E' presente il timbro del Comitato Internazionale della Croce Rossa di Ginevra. |
Addis Abeba 26-6-41 XIX
Mie carissime, vi traccio quattro righe per darvi mie nuove poiché ho la possibilità di farvi pervenire questa lettera tramite Croce Rossa.
Sono da un po' di tempo prigioniero ma sto bene e godo ottima salute, vorrei sapere la stessa cosa sul conto vostro e su quello di Uccio. Non ho sue nuove dal marzo scorso e voi? Io ho interessato anche per questo la Croce Rossa.
Spero bene. Domani partiamo per altra sede, fuori dall'Impero, forse anche fuori continente. Non preoccupatevi vivete tranquille e vogliatemi sempre bene. Dalla nuova residenza vi scriverò e vi accluderò l'indirizzo. Per ora vi basti sapermi ancora in vita ed a voi sempre affezionato. Se potete interessate anche voi la Croce Rossa per farmi avere notizie vostre e di Uccio.
Stellina dovrebbe essere pratica ed al corrente di queste cose.
Vi stringo al petto con immutabile affetto e vi bacio forte.
Filippo vostro
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Fig. 5 – Lettera inviata da l'Asmara a militare prigioniero con indirizzo presso la sezione postale per i prigionieri di guerra delle Middle East Forces in Egitto. Fu reindirizzata in India, come testimoniano i timbri triangolari, uno ad indicare il campo n. 11 di Bhopal e l'altro ad indicare le operazioni di censura. |
Asmara 12-7-41
Camillo mio adorato,
sono giusti tre mesi che sei partito e a me sembra di non averti visto da anni. È molto triste e doloroso il nostro destino che ci tiene forzatamente lontani procurandoci la maggiore delle sofferenze. Non sempre la fiducia nell'avvenire mi sorregge e oggi è proprio una giornata di sconforto e di malinconia profonda. Contribuisce a ciò il fatto di essere priva di tue notizie dal giorno 9 maggio, notizie che tu sai bene con quanta ansia e trepidazione attenda. Dato il grande ritardo temo seriamente ti abbiano nuovamente spostato e allontanato da me. Non saprei come altro interpretare questa mancanza assoluta di notizie da parte di voi tutti. L'unico mio conforto, l'unica mia consolazione è pregare Dio perché ti protegga e assista e ti faccia presto ritornare da noi che viviamo solo per quell'agognato giorno.
Amore mio, sai con quanto slancio e ardore ti ami, conosci ormai completamente i miei sentimenti e il mio cuore e riuscirai facilmente ad immaginare quale sia il mio dolore e la mia pena di oggi. Non esco nemmeno più di casa per non angustiarmi e torturarmi maggiormente nel vedere tanta gente tranquilla e contenta con le loro famiglie.
Finirà anche questa e speriamo che siano riservati anche per noi giorni migliori. Non preoccuparti minimamente per noi e per i nostri interessi che vanno bene. Con la cifra che ci dà mensilmente il Presidio nostro e con gli anticipi della banca riesco a fare anche qualche piccola economia. Il tuo stipendio ritiralo tu e spendilo per comprarti tutto quello che puoi e che ti manca. Guai se sapessi che ti privi per noi. Qui non ci manca nulla e il mio pensiero è sempre a te che temo ti manchi molto.
Arrivederci, Camillo mio, sarò più lunga e coerente la settimana prossima. Che Dio esaudisca i nostri desideri e faccia scendere su di te tutte le mie benedizioni! Questo è l'augurio più fervido che formulo per te nel giorno del tuo onomastico. Col cuore pieno d'infinito desiderio d'averti vicino e con tutto l'amore che nutro per te t'abbraccio e ti bacio all'infinito
tua per sempre Luisa
Papalino mio, tutti i miei auguri e tutte le mie tenerezze. Torna presto e abbiti tanti bacioni
tuo Claudio
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