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Episodi postali tra il Ducato di Modena e le isole Jonie |
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di Fabrizio SALAMI (Il Foglio n. 176 del U.F.S.) - 1a parte | ||||||||||||||
Le fasi di sviluppo dei rapporti postali, successivi al 1815, tra l’Italia e Corfù, sono essenzialmente tre. A un primo periodo embrionale, affidato a vascelli commerciali privati, con quell’occasionalità tipica della posta più antica che già si stava abbandonando nell’Europa dell’epoca, seguì un intervallo più organico affidato a vascelli militari austriaci e statali ionici. L’ultima fase, che potremmo chiamare definitiva, fu gestita dai Lloyd austriaci. In merito all’affidabilità del servizio, l’intermediazione di paesi terzi provocava non pochi problemi, come vedremo.
La lettera di fig.1 fu scritta a Modena il 14 giugno 1831; non ha seguito la via d’Ancona come richiesto dal mittente, ma di Napoli (23 giugno) e arrivò a Corfù il 1° luglio. Fu tassata in partenza, secondo il tariffario del 1815, per 16 centesimi, come se fosse destinata nell’Italia centromeridionale, correggendo il precedente 20 per destinazioni estere, e in transito per 27 grana (1½ fogli). All’arrivo il porto fu calcolato su 1½ fogli, così la tassazione complessiva fu: 9 pence per i diritti jonici, come da tariffario del 1827, sommati ai 27 grana (11½ pence), per un totale di 1 scellino e 8½ pence. Sul fronte c’è un’indicazione F 1½ che, forse, è da leggere come 11½ cioè la conversione del diritto napoletano in divisa jonica.
La fig.2 illustra la seconda delle uniche due lettere in partenza a me conosciute. Anch’essa scritta a Modena, l’8 aprile 1832, questa volta fu impostata a Bologna per raggiungere Corfù. Il motivo di questo strano invio è da ricercarsi nella scarsa attendibilità del servizio su Ancona, ma vi rimando al paragrafo successivo per altre notizie. Malgrado l’invio direttamente dallo Stato Pontificio, la lettera giunse ugualmente a Napoli, dove fu indicato il diritto di 10 grana. A destinazione l’amministrazione corfiota indicò al verso la tassa locale di 6 pence e quella totale di 10¼ corrispondenti alla somma dei 6 pence e dei 10 grana, pari appunto a 4¼ d. Sempre al retro si trovano sia il bollo di transito di Napoli sia quello di arrivo di Corfù.
Con la fig.3 passiamo alle lettere in incoming: da Corfù, 15 novembre 1832, a Modena. La lettera partì una settimana dopo essere stata scritta: al verso infatti vi è il bollo (non in foto) “Corfù 23 novembre 1832”. Sbarcata a Otranto fu disinfettata per suffumicazione e tagli e poi seguì la via di Napoli (dove si appose anche il bollo AGDP – Amministrazione Generale Della Posta), Roma e Firenze. A Corfù il mittente pagò 6 pence, mentre Napoli, in transito, addebitò 10 grana. La tassa partenopea era quella prevista fin dal 1819 per gli scambi con i paesi italiani e non era il porto per lettere provenienti da Corfù che ammontava, invece, a 8 grana. A Modena si indicarono 25 centesimi per la distribuzione ducale. Chi abbia pagato il diritto napoletano in lettere di questo tipo non è per nulla chiaro. È naturale pensare che siano stati addebitati al destinatario, però è strano che non sia stato indicato il totale (10 grana sono circa 45 centesimi, per un ammontare totale di 70 centesimi).
Infine vi presento la lettera, del 1831, sicuramente più ricca di spunti di ricerca e di problemi interpretativi (fig.4). La missiva, come potrete notare, è stata raccomandata e assicurata in partenza, e ciò si comprende dal fatto che le dizioni sono nello stesso inchiostro rosso della tassazione “6” pence. Il problema è che non si ha alcuna notizia dell’esistenza dei due servizi nelle isole, tanto che anche uno dei maggiori studiosi degli stati ionici afferma di non essere riuscito a scoprire documentazione al riguardo, né a Corfù né a Londra, nonostante un’assidua ricerca (3). Non si può neppure affermare che il servizio di raccomandazione sia stato introdotto dagli inglesi, poiché nel Regno Unito lo “inland registered service” fu disponibile solo dal 6 gennaio 1841 e sostituiva o affiancava i più antichi “money letters” risalenti al 1792 o “money orders” destinati alla spedizione di valori. Quel che viene subito in mente, dunque, è un antico retaggio veneziano; le notade a libro. Anche solo l’interpretazione del termine assicurata è lasciata alla mercé della fantasia. Verrebbe da pensare che la parola sia stata posta quale rafforzativo del concetto di raccomandazione oppure, se preferite, una sorta di traduzione del termine per quei paesi italiani, come il napoletano e il pontificio, – solo un caso? – dove si usava la parola assicurata per indicare ciò che noi oggi intendiamo raccomandata. Il punto fermo di tutta la discussione è che la lettera per il suo trattamento particolare, che sicuramente ha avuto, non ha pagato in partenza nessun diritto aggiuntivo giacché sei pence era la tariffa per una missiva ordinaria. A Napoli non fu indicato alcun importo, nemmeno i soliti 10 grana di transito. Inoltre, in quegli anni, lo scambio di raccomandate tra Regno di Napoli e i paesi italiani, tramite l’intermediazione pontificia, non era previsto se non con i diritti completamente pagati in partenza, anche se una scappatoia la si trovava sempre (4). All’arrivo, invece, la missiva fu trattata come raccomandata, come si può evincere dal numero di registrazione e dalla tassa di 50 centesimi che era il doppio dell’ordinario. (1) Anticamente esisteva anche una linea che collegava Corfù e Taranto. | ||||||||||||||
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