digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

pot au feu
Francia, 6 settembre 2008, Yvert 4263
 
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Filatelia Tematica



Può forse sembrare strano che uno dei piatti più famosi della cucina casalinga tradizionale dia il nome a una organizzazione di beneficenza, eppure in Francia questo è successo.

Dopo il crac della Borsa di New York del 24 ottobre 1929, la crisi economica che in seguito sarà conosciuta come la Grande Depressione paralizzò per anni le economie dei maggiori paesi anche in Europa, e in questo contesto di disoccupazione, miseria e per tante famiglie fame, a Parigi, nel quartiere di Montmartre, nacque l’Oeuvre du Pot au Feu des Vieux.

Si trattava di una mensa che accoglieva gli indigenti ultra-settantacinquenni della città di Parigi, offrendo loro una volta al giorno una scodella di pot au feu, un pezzo di pane e un bicchiere di vino. Promotrice dell’iniziativa era Eugénie Duchoiselle, una filantropa che si guadagnò ben presto il soprannome di Madame Pot-au-Feu e che per attirare attenzione e finanziamenti si avvaleva della collaborazione di attori e cantanti celebri, che spesso partecipavano direttamente alla distribuzione dei pasti. Tra di loro spiccano i nomi di Marcel Carpentier, Michel Simon e, soprattutto, della mitica Josephine Baker.

Secondo stime che molti reputano più che prudenti, nel periodo che va dal 1930 a 1936 l'Oeuvre distribuì 200mila porzioni di pot au feu, ma… cosa è esattamente il pot au feu?

Traducibile letteralmente come "pentola al fuoco", il pot au feu nient’altro è che la versione francese di un piatto conosciuto in moltissime culture gastronomiche, e che da noi, nelle sue molte varianti locali, va sotto il nome di bollito misto. A Madrid si chiama cocido, in Argentina mangiano il puchero, nei paesi dell’est europeo c’è il bortsch, e perfino in Giappone ne esiste una variante: l’oden. In Francia poi innumerevoli sono le versioni locali.

Ma quali sono le peculiarità del pot au feu classico francese? Innanzitutto l’uso di tagli di carne di manzo economici e ricchi di tessuto connettivo e di venature di grasso, come muscolo, paletta, copertina, stinco, punta di petto e guancia. Tutti tagli che necessitano di una lunga cottura che, secondo il blasonato chef Paul Bocuse, deve partire da freddo al fine di ottenere un brodo più saporito.

Tra gli odori, quelli tipici della cucina francese, è singolare il trattamento della cipolla, che prima di essere messa in pentola viene tagliata in due, fatta soffriggere fino quasi a bruciare e “inchiodata” con un paio di chiodi di garofano, allo scopo di conferire al brodo il suo tipico colore scuro.

La carne deve bollire a fuoco lentissimo almeno tre ore, e nell’ultima parte della cottura si aggiungono prima un bell’osso con midollo, e poi le verdure: rape bianche, sedano rapa, carote, porri e verza. Esclusa, secondo i puristi, la patata, sconosciuta nell'Europa del XIII secolo e quindi non citata nella prima attestazione di una ricetta assimilabile al nostro pot au feu e sostituita, sempre in quel primo ricettario, dalla pastinaca, una radice edibile oggi caduta in disuso, ma pur sempre reperibile.

Il pot au feu tradizionale completo include un antipasto costituito dal midollo spalmato su fettine di pane abbrustolito, una tazza di brodo (con pastina o riso, se piace) a cui molti aggiungono un bel bicchiere di vino rosso, e naturalmente la carne con il suo contorno di verdure, accompagnata da sale grosso e mostarda forte di Digione.

Una bella bottiglia di vino di Borgogna non troppo invecchiato ha degnamente innaffiato il pot au feu dell’allegra Brigata di Cucina del Postalista, ma ci hanno detto che anche un rosato corposo della Provenza sarebbe adatto… sarà per la prossima volta.

 

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