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Campo di Concentramento di Villa Oliveto - Civitella in Val di Chiana | ||||||||||||||||||||||||
a cura di Roberto Monticini | ||||||||||||||||||||||||
PERCORSO: Campi di Prigionia, di internamento e di concentramento nell'aretino > Le corrispondenze conosciute da e per il campo di concentramento di Villa Oliveto > questa pagina > Uno studente di medicina internato scrive dal Campo di Villa Oliveto Il Campo di "Villa Oliveto” fu allestito nel 1940 nel comune di Civitella Val di Chiana, accolse prevalentemente ebrei stranieri. Risulta anche campo di internamento ad Amministrazione Civile con il N. 4, altri lo indicano con il N. 115. La numerazione del campo di prigionia è essenziale per poter individuare il luogo di detenzione dei prigionieri, infatti nelle corrispondenze doveva essere indicato solo il numero del campo, era vietato indicarne il nome e la località. A seguito del ritrovamento di una lettera spedita dal Campo è stata possibile una migliore riproduzione delle impronte e di aggiungerne una nuova, prima non conosciuta:
Di seguito riporto le notizie che mi è stato possibile reperire. Da http://www.storiaememorie.it/villaoliveto/ShedeCampi/VillaOliveto.htm. "Il campo di Villa Oliveto fu installato nel giugno del 1940 in un edificio già utilizzato nel 1934 come campo di addestramento per gli ustascia (2).
Il campo aveva una capienza di circa 70 posti, nel febbraio del 1941 erano presenti 64 internati, dei quali 30 ebrei e 34 ariani. Nell’agosto del 1941 gli internati erano 48, diventati 70 nel giugno 1942, scesi a 47 nel marzo 1943, e risaliti a 69 nell’agosto del 1943. Nel giugno 1944 il campo risultava ancora attivo con 14 internati. Gli internati erano ebrei tedeschi, sudditi francesi, inglesi e polacchi. Nell’aprile del 1941 furono internati una cinquantina di marinai jugoslavi poi rilasciati. La gestione del campo fu piuttosto difficile, si alternarono infatti ben otto direttori nel solo 1940. Tra quelli trovati nelle carte dell’ACS troviamo Gullino Vincenzo, fino al 9 maggio 1941, Longhi Ferdinando, dal 9 maggio 1941, Lo Piano Giuseppe (1941), Iacono Enrico (1941) Vitto Carlo e infine Giardina Carmelo, dal marzo 1943 al giugno 1944. Con l’arrivo dell’estate del 1942 le condizioni del campo iniziarono a peggiorare, a causa della mancanza cronica di acqua, sia per la pulizia personale sia per i servizi igienici; erano stati trovati insetti nei letti, mentre gli internati levavano di continuo proteste per la qualità e la quantità del vitto, le quali si rivelarono del tutto inutili. Anche l’assistenza sanitaria non era soddisfacente, poiché per mancanza di spazio non si trovava sul posto un’infermeria, e un medico veniva al campo da Arezzo tre volte la settimana. Villa Oliveto fu uno dei campi in cui furono smistati gli ebrei di nazionalità inglese provenienti dalla Libia; vi giunsero alcuni gruppi di famiglie, con molti bambini, donne e anziani. L’arrivo dei libici, in condizioni di salute assai precarie, aggravò la situazione sotto molti aspetti. Un rapporto della Legazione Svizzera, che riportava le impressioni di una visita effettuata nel mese di gennaio del 1942, definiva pessime le condizioni sanitarie ed igieniche di Villa Oliveto: i servizi igienici erano del tutto inadeguati alle esigenze degli internati, poiché per circa ottanta persone vi era una sola doccia con acqua fredda e quattro lavandini; gli internati dovevano pagare una somma abbastanza consistente – la metà della diaria giornaliera -, per fare il bagno con acqua calda. Essendo permesso fare il bagno tre volte alla settimana, per tre volte al giorno, la proporzione non era adeguata al numero degli internati. Il vitto era scarso e scadente, e gli internati riuscivano a sopravvivere solo con i pacchi inviati loro dalla Croce Rossa. […] La Legazione Svizzera riferiva, in una relazione dell’aprile del 1942, che l’edificio era troppo esiguo per contenere il gran numero di internati presente in quel momento, tra i quali 25 bambini e alcune donne in stato di gravidanza. Durante il periodo in cui il campo restò in funzione nacquero sette bambini. Una famiglia di 15 persone, ad esempio, doveva vivere in un unico vano, con solo sette letti; il rapporto rilevava che a più di due mesi dall’arrivo dei libici non era stata apportata nessuna modifica o miglioramento sostanziale. Molti di loro, poiché avevano perduto i bagagli durante il viaggio, erano senza indumenti adatti alle nuove condizioni climatiche. Dopo i primi mesi assai difficili, nel giugno del 1942 fu deciso di trasferire tutti gli internati soli e di lasciare nel campo soltanto i gruppi familiari libici. Il vitto migliorò dopo che le famiglie di religione ebraica, accordandosi con il fornitore, avevano cominciato ad acquistare i prodotti da quest’ultimo e provvedevano a cucinarli secondo le loro regole alimentari. Un rabbino giungeva ogni sabato per la macellazione. Tuttavia la situazione sanitaria ebbe un nuovo peggioramento, dopo la partenza di un medico internato nel campo." Da: Villa Oliveto - Centro di documentazione sui campi di concentramento italiani. Il 26 maggio 1940 il sottosegretario per l'Interno Guido Buffarini comunica che "il Duce desidera che si preparino dei campi di concentramento anche per ebrei, in caso di guerra". L'amministrazione del campo verrà poi varie volte richiamata dali'lspettore Generale di PS perché sospettata di praticare prezzi troppo alti nello spaccio e per l'insufliciente somministrazione degli alimenti.
Il primo gruppo di ebrei libici giunto ad Oliveto era composto da 51 internati, di cui 27 tra donne e bambini, componenti 9 gruppi familiari. I capifamiglia erano tre commercianti, 2 osti, un ebanista, un sarto, un possidente non vedente e una casalinga. Molti dei bambini erano in età scolare e alcuni molto piccoli (1 o 2 anni).
"Così ricorda quei momenti Gabriele Burbea che all'epoca aveva solo cinque anni: «Nel campo vivevano circa 30 bambini e io ricordo che insieme a molti di loro mi mettevo di fronte al cancello del campo e vedevamo gli agricoltori sui carri pieni di frutta, legumi e verdura fresca che portavano ai mercati in città. Noi mettevamo le braccia fuori dal cancello e chiedevamo qualche grappolo d'uva o qualche altra frutta. Per convincerli a darci qualcosa dicevamo che la frutta l'avremmo data a nostra madre che era incinta». (3) Tra il 25 luglio e 1'8 settembre 1943 Badoglio mantenne in vigore l'intera legislazione persecutoria, anche se furono prese misure per la liberazione degli internati. L'ordine per la liberazione degli ebrei stranieri giunse solo 1'11 settembre. Mentre il campo di Bagno a Ripoli continuò a mantenere la detenzione degli ebrei là internati dietro intervento del Questore di Firenze Mormino, ad Oliveto all'arrivo della circolare vennero aperte le porte del campo. Molti ebrei rimasero però nella struttura credendo di potervi continuare a vivere tranquilli e protetti e avendo paura di andare incontro a pericolose incognite avventurandosi nel mondo esterno. Gli internati di Oliveto erano molto meno consci del pericolo incombente di quelli di Bagno a Ripoli, 50 dei quali si dettero alla fuga il 22 settembre nonostante la sorveglianza fosse stata rafforzata. La difficoltà a mettersi in salvo era maggiore al campo di Oliveto per la presenza di donne e bambini, che invece erano assenti a Bagno a Ripoli. Dopo l'armistizio rimasero a Villa Mazzi una settantina di persone, per la maggior parte donne e bambini. Il 23 novembre 1943 il Ministero dell'Interno revocava la circolare dell'11 settembre e ordinava che i cittadini di Stati nemici già internati fossero nuovamente sottoposti ad internamento. I campi di internamento per ebrei ancora in funzione in Italia divennero di fatto delle anticamere per i campi di sterminio. "Così il 10 febbraio 1944 il direttore del campo di concentramento di "Villa Oliveto" informa ufficialmente la Direzione Generale della Pubblica Sicurezza e il questore che «Il 5 corrente si presentò a questo Campo un reparto di SS Germanici, i quali rilevarono con un autocarro gli internati ebrei, sudditi Britannici di cui all'unito elenco, avviandoli per ignota destinazione». Solo 8 persone rimasero al campo. In realtà gli ebrei libici di Villa Mazzi furono dapprima portati alle carceri di Firenze, poi trasferiti con un carro bestiame al campo di Fossoli. Da li, dopo sette mesi, furono deportati a Bergen Belsen, il campo in cui sarebbe morta, nell'inverno 1945, Anna Frank. Qui rimasero 4 mesi, dopodiché furono finalmente liberati.
La storia vissuta nel Campo di concentramento di Villa Oliveto, dalla sua istituzione fino alla sua chiusura, è molto bene descritta in https://www.academia.edu/18270141/La_Provincia_di_Arezzo_dal_1900_al_1945 alle pagg. 73-93, della pubblicazione di Enrico Gori: Guerra e lotta di Liberazione nell'aretino (1943-1945), in La Provincia di Arezzo dal 1900 al 1945. Per concludere un accenno alla storia della Villa ed alla sua posizione geografica, tratto da: Villa Oliveto in provincia di Arezzo La Valdichiana è certamente una delle zone più belle della Toscana con ottimo cibo e splendidi paesaggi. Durante le tue vacanze in Toscana scopri il territorio e magari visita Villa Oliveto, una villa storica oggi museo. Villa Oliveto si trova non lontana dal borgo di Oliveto. La villa è ubicata in Valdichiana in provincia di Arezzo. Da lontano si può riconoscere la bella facciata date le dimensioni piuttosto notevoli della residenza. Sulla proprietà vi era probabilmente una casa colonica circondata da campi e giardino. Nell'Ottocento essa venne restaurata e modificata, probabilmente ingrandita. La villa è suddivisa in vari piani ed ad ognuno di esso era attribuita una funzione sociale. Ai piani bassi infatti vi erano le parti dedicate ai lavori tipici della campagna e dell'azienda agricola: il frantoio e le cantine. Ad un livello superiore vi erano le stanze della servitù e dei lavoratori. Al piano più alto, invece, viveva la famiglia nobile. La facciata è ricca di finestre e ci sono varie aperture verso l'esterno. Il parco è piuttosto ampio ed essendo stato rimodernato nell'Ottocento segue le tendenze ottocentesce e quindi lo stile romantico. La villa si trova su una collina ed il terreno ha forti dislivelli. Per questo motivo, i sapienti agricoltori hanno deciso di costruire dei terrazzamenti dove piantare alberi di ulivo. Oltre alle numerose piante di ulivo, vi sono notevoli esemplari di lecci e cedri. Alcune di queste piante sono centenarie. La villa e l'intera tenuta appartenne alla famiglia Barbolani. I Barbolani erano importanti nobili che controllavano l'intero feudo sin dal Medioevo. Il feudo era conosciuto con il nome di Feudo di Montauto. La famiglia Barbolani possedeva, e possiede ancora oggi, un'altra villa in provincia di Arezzo: Villa La Barbolana. Nel 1927, invece, i Barbolani decisero di vendere Villa Oliveto alla famiglia Mazzi. La famiglia Mazzi tenne la villa per diversi anni, ma nel 1980 ha ceduto villa e proprietà al Comune di Civitella in Val di Chiana. La villa è visitabile tutti i giorni. Al suo interno vi è un centro di documentazione sui campi di concentramento e su questa triste pagina della storia d'Europa. La villa infatti fu per un breve periodo un campo di concentramento per ebrei. NOTE: 1. Luciano Previato, L’altra Italia. Carceri, colonie di confino, campi di concentramento durante il ventennio fascista, Centro Italiano Filatelia Resistenza, Bologna 1995; 2. Gli ùstascia (derivante dal verbo ustati o ustajati che significa "alzarsi in piedi, insorgere, ribellarsi") erano coloro che lottavano contro i turchi. In seguito fu adottato dal croato di Bosnia Ante Pavelić per designare gli appartenenti al movimento nazionalista e fascista croato di estrema destra, alleato dei nazisti tedeschi e fascisti italiani nella seconda guerra mondiale, che si opponeva al Regno di Jugoslavia dominato dall'etnia serba (1929) (https://it.wikipedia.org/wiki/Ustascia); 3. da "Giado, un campo di concentramento in Libia" di Michele Strazza, segnalazione di Roberto Lovat. |
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