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  La guerra italo-turca nelle corrispondenze dei pistoiesi (4ª, ultima parte)
Enrico Bettazzi

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Un altro piccolo attacco
(Caporale Angiolo Zucconi, del 68° fant. Di Borgo a Buggiano, al padre)

Il giorno 18 corrente ci fu un piccolo attacco, e ringraziando Iddio dei nostri ne morì uno solo. Ma il nemico si dovè ritirare e gli tocca sempre a perdere, perché ormai noialtri italiani ci siam fatti tutti i comodi per tirare. Però tutti i minuti si ha la vita in pericolo. Non importa nulla. Sono qua per difendere il Re e la Patria e fino a che avrò un po’ di fiato voglio combattere e distruggere queste infami genti. Se poi avrò la disgrazia di morire, diranno che sono morto per difendere la nostra Patria e se avrò la fortuna di ritornare a casa, tornerò vittorioso e onorato da tutti i miei superiori che si trovano in guerra.

Bestie vestite. Come le mosche.
(Soldato Guelfo Ferrari, di Collodi, alla madre)

Mi passano i giorni, senza neanche che me ne accorga e noi tutti siamo allegri e contenti come pasque. Quanto alla guerra, credo che ne saprete più di me, perché siamo fermi e non si sa nulla. Se vedeste, cara madre, come sono curiosi gli arabi! Paiono bestie vestite.

(Enzo Jacometti, del 6° fant. Di San Pellegrino al Cassero, al padre)

Abbiamo combattuto i giorni 1 e 2 Dicembre e di questi Turchi ne abbiamo uccisi molti. Io combatterò con fedeltà e con coraggio, contro queste bestie che sono troppo ignoranti. Saprete anche dei tradimenti, fatti a Tripoli. Anche qui si sono provati, ma non ci sono riusciti. Nei combattimenti, cascano per terra come le mosche. Noi spariamo dai fossi, che abbiamo scavati e siamo sicuri. Io credo di rimanere sempre qui in città di guarnigione, perché è arrivato il 57° fanteria ed è andato avanti, e il 6° è ritornato a Bengasi. Facciamo il servizio di carabinieri, di guardie di città, di doganieri. Bisogna fare di tutto, ma io ci sto molto volentieri.

In attesa di avanzare.
Un telegrafista.

(Caporal maggiore telegrafista Alfredo Cipriani, di Candeglia, ad un amico)

Da diverso tempo, mi trovo con i miei apparati ottici e telefonici, agli avamposti, alla ridotta n.3 e lì ho combattuto l’ultima volta nella notte dal 21 al 22 dicembre. Dopo venti minuti di accanito combattimento, la linea telefonica, colpita da un proiettile, si ruppe, ed io insieme con gli altri due miei telegrafisti, quando il fuoco da ambe le parti era vivo e violento, quando le palle fischiavano accanite con fischio vivo e acuto, abbandonammo l’apparato, che non più serviva e distesi a terra, per cinquanta metri ci trascinammo al punto ove trovavasi un apparato ottico, col quale potemmo riattivare la corrispondenza. Fummo chiamati nelle trincee e si porgeva aiuto ai bravi bersaglieri, che per la prima volta combattevano, sparando contro l’audace nemico, che si era spinto fino a 50 metri dalla ridotta.

 

I turchi vollero turbare le feste dei nostri prodi ragazzi.

(Artigliere Renato Strufaldi, di Gavinana, alla cognata)

Spero che avrai passato il Natale meglio di me. A noi, i nostri superiori ci han sempre raccomandato di stare in gamba, e infatti, i maledetti turchi ci hanno in quei giorni , molestati. Forse , essi credevano che noi, per essere Natale, ci dessimo al divertimento, abbandonando la guardia. Sono venuti avanti. Si è cominciato a combattere la mattina alle 6, fino alle 8 di sera. Invano loro! Si sono respinti a forza di cannonate ed hanno lasciato il terreno pieno di morti. Noi, neppure un ferito. Ai turchi, mette poco conto di venire contro di noi. Io mi faccio sempre coraggio, perché penso che siamo soldati italiani e che siam qui a combattere per la patria. Ci vogliam mostrare sempre coraggiosi, un giorno più dell’altro, perché ormai questa è terra nostra e ci staremo per sempre. Non crediate che durante la battaglia, siam presi dalla paura. Anzi! Il coraggio aumenta, quando ci comandano di far fuoco. Dunque, coraggio anche voi. Il giorno di Natale si dovevano mangiare i dolci venuti d’Italia, ma i turchi, come ho detto, ci vollero molestare. E noi facemmo mangiar loro dolci pesantissimi e ci vorrà una buona purga per digerire tutti quei proiettili d’acciaio! Oggi, calma assoluta, e c’è la distribuzione dei doni dei buoni fratelli italiani ai quali siamo grati e riconoscenti di vero cuore. La stagione è discreta: tira vento, ma è preferibile alla pioggia. Un po’ si soffre: che ci vuoi fare? Siamo in tempo di guerra. Non si sta, però, tanto male benchè abbiamo molto da lavorare.


Il macello

(Giuseppe Mattei dell’ 89° fanteria, di Saturnana, alla sorella)

...Il 5, abbiamo avuto un attacco notturno dalle 10 della sera sino alla mattina alle ore 7. Non puoi immaginare il macello dei turchi e degli arabi che abbiamo fatto. Sono andato a vedere, davanti alle nostre trincee ed ho contato una grande quantitàdi cadaveri turchi ed arabi: a molti mancava la testa. Erano sfracellati dalle nostre granate...Per noi, ora, c’è pochissimo pericolo, perché ci siamo fortificati molto bene sul monte che abbiamo occupato (il 27 Febbraio) e che si chiama Mergheb.

FINE

Corrispondenze tratte da
B.BACCI, La Guerra Libica descritta nelle Lettere dei Combattenti, Firenze, 1912

Le immagini che illustrano gli articoli fanno parte della collezione dell’autore.