LA POSTA DEI PRIGIONIERI DI GUERRA |
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Storie italiane: prigioniero nel Nyasaland (terza parte) |
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di Maria MARCHETTI | ||||||||||||||||||||||
L'uscita dal campo di prigionia e l'attesa del rimpatrio La moglie in Italia continua a privilegiare l'utilizzo di moduli Croce Rossa e non sfrutta nemmeno l'intero spazio a disposizione. Il 16 maggio 1944 invia un message expres di 7 parole, lasciando 4 righe vuote. (Fig. 17) Occorre dire che per l'Italia il 1944 è un anno critico, a causa degli spostamenti del fronte e dei mutamenti politici e militari e le comunicazioni ne risentirono, soprattutto quelle con l'estero.
Una cartolina modulo specifico per i prigionieri di guerra del 29 novembre 1944, spedita da Roma già liberata dagli Alleati, mostra una situazione che si è notevolmente evoluta. L'indirizzo del destinatario è “internato civile Attilio... - Lujeri Estate P.O. - Nyasaland”. A parte le traversie che la cartolina subì a causa dell'errato avviamento che la fece finire negli Stati Uniti, cosicché fu ricevuta dal destinatario il 4 agosto 1945, appare evidente che Attilio non è più nel campo di prigionia ma in una piantagione e che ha chiesto alla moglie di raggiungerlo di nuovo. Nella cartolina la moglie scrive: “Carissimo Attilio famiglie bambine tutti benissimo. Isa studia. Circa la mia venuta avrei piacere parlarne al tuo ritorno insieme comunque ora cerca di saperti contenere nelle tue decisioni perché se vi sarà bisogno verremo ove tu sei. Zio verrà appena potrà ottenere il permesso. Il marito di Nina ha subito una brutta morte e anche lo zio correva quel rischio. Abbiamo ricevuto tre tue recenti lettere una delle quali via Cairo ed un telegramma in data settembre. Affettuosità tua Angela” (fig. 18)
Negli stessi giorni la moglie da Roma invia anche una lettera, di cui purtroppo non ho il testo, ricevuta il 22 aprile 1945, come dimostra il timbro postale di Lujire. Non è difficile supporre che con questa lettera la moglie abbia ribadito in maniera più articolata gli stessi concetti espressi nella cartolina sopra citata. (fig. 19 e 19 bis)
Appare evidente che nel suo remoto angolo di internamento, o libertà sotto controllo, Attilio non ha alcuna consapevolezza dell'impossibilità di compiere un viaggio del genere in un mondo ancora pienamente investito dalla guerra.
Il 12 maggio 1945 il “Bureau Displaced Person and repatriation” della Central Mediterranean Force, in risposta ad una richiesta della moglie, conferma che Attilio è stato liberato e lavora nella piantagione di the di Lujeri della Lions and Co. ed è in attesa di poter rimpatriare. (fig. 21)
In una cartolina scritta a Roma il 5 agosto 1945 compaiono alcune parole manoscritte da parte delle figlia maggiore, Isa, la bambina del certificato di nascita con cui ha avuto inizio la nostra storia, che, mentre il papà era in prigionia, era cresciuta e aveva cominciato la scuola elementare. Tutto era pronto per festeggiare l'agognato ritorno. (fig. 22)
In un telegramma spedito da Mlange il giorno 17 agosto alle ore 13,55 e datato in arrivo a Roma 21 agosto 1945 Attilio informa la moglie di averle spedito tutto il suo salario. Il servizio telegrafico ha ripreso a funzionare quasi come prima della guerra. (fig. 23)
Anche per Attilio, come per tutti gli altri, la fine della guerra non significò affatto un rapido rimpatrio, sia a causa delle difficoltà nei trasporti, sia perché per i Paesi Alleati i prigionieri rappresentavano mano d'opera a bassissimo costo, in attesa del ritorno dei reduci. A dicembre del 1946 vi erano ancora prigionieri italiani in Kenia, in Sud Africa, in Australia.
In un altro telegramma del 25 febbraio 1946 Attilio comunica il fallimento del suo tentativo di imbarcarsi a Beira per la mancata partenza della nave, ipotizza soluzioni via aerea fino al Cairo, non sa come farsi seguire dai suoi bagagli e sta prendendo in considerazione anche la possibilità di attendere il rimpatrio governativo. |