IL CONTESTO
Ora fa tanto rumore la “brexit” e il destino dei 600.000 italiani che lavorano in Gran Bretagna che forse perderanno alcuni dei diritti riservati ai cittadini “comunitari”.
Ben più esplosiva fu la situazione il 10 giugno 1940, all'atto della dichiarazione di guerra dell'Italia, per gli italiani residenti in Gran Bretagna, Australia, Canada, Sud Africa, colonie inglesi, Francia e colonie francesi, nel Congo Belga, ecc. Coinvolse sia coloro che erano stabilmente emigrati e addirittura avevano già preso la cittadinanza del nuovo Paese, che coloro che erano presenti temporaneamente, per viaggio, studio o affari o come missionari. Con l'evolvere della guerra precipitarono nella stessa scomoda condizione anche gli italiani degli Stati Uniti e degli altri Paesi che, in tempi successivi, entrarono in guerra contro l'Italia.
Molti dei Paesi con cui l'Italia entrò in guerra già disponevano all'interno delle loro norme giuridiche del profilo dell'”enemy alien” per definire il cittadino dello Stato con cui si trovavano in guerra. Occorre, tuttavia, evidenziare che l'internamento, sia pure in casi numericamente non rilevanti, fu applicato anche a persone che erano originarie dell'Italia, ma ormai naturalizzate.
Una categoria particolare di internati civili furono i “merchant seamen”, gli uomini imbarcati sulle navi mercantili o passeggeri, alla fonda in porti diventati nemici, oppure, in navigazione e costretti ad approdarvi. Divennero anch'essi internati civili, addirittura gli Stati Uniti arrivarono a raggrupparli e a limitarne la libertà fin dall'ingresso dell'Italia nel conflitto, ben prima della dichiarazione di guerra agli Stati Uniti dell'11 dicembre 1941. La loro specificità è evidenziata dal fatto che nel corso del 1942 la Gran Bretagna e i Paesi del Commonwealth trasformarono il loro status giuridico da internati civili a prigionieri militari.
Ancor più particolari le situazioni di Malta ed Egitto: nella prima 48 appartenenti al partito nazionalista, che si opponeva all'anglicizzazione dell'isola in nome dell'italianità della stessa, furono internati ed alcuni deportati senza che contro di loro fosse mai elevata alcuna accusa; nel secondo 8.000 maschi, appartenenti alla comunità italiana formatasi fin dall'800, furono internati per più di 4 anni.
Per le varie categorie di italiani nel mondo si spalancarono i cancelli dei campi di internamento, non per tutti, fortunatamente, e non sempre per l'intera durata della guerra. Spesso si trattava di campi già predisposti per l'analogo motivo durante la prima guerra mondiale, nuovamente riaperti per ospitare i tedeschi, che erano in guerra fin dal 1° settembre 1939. Riguardò prevalentemente i maschi, tranne nelle situazioni in cui lasciare le donne e i bambini privi della presenza degli uomini li avrebbe esposti alla impossibilità a provvedere alla propria sopravvivenza. In India, per esempio, dopo un primo periodo di assestamento, sorsero dei “Family camps” in cui riunire le famiglie. Con il diminuire del ruolo dell'Italia nella guerra, spesso già alla fine del 1941, in alcuni Paesi iniziò il rilascio degli internati, rilascio che divenne quasi completo dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943. L'armistizio divise l'Italia in 2 parti e costrinse altri italiani residenti in Paesi già alleati dell'Italia, a scegliere se schierarsi con la R.S.I. o finire internati. A questo proposito, è emblematico il caso di Fosco Maraini, che viveva in Giappone, e che, avendo rifiutato di aderire alla R.S.I., fu internato insieme alla moglie e alle figlie, tra cui la piccola Dacia. La scrittrice rievoca questa esperienza in un articolo, disponibile in rete all'indirizzo http://zoomgiappone.info/2016/02/ricordi-le-mie-ore-giapponesi/.
Uno dei grandi rischi corsi dagli internati civili furono i trasferimenti transoceanici attuati dalla Gran Bretagna per esigenze logistiche o, forse, anche propagandistiche, cioè mostrare ai reietti quanto vasto fosse l'Impero britannico e come, anche soccombendo l'Inghilterra, avesse possibilità di resistere all'infinito. Accadde così che gli internati dalla Gran Bretagna furono trasferiti in Canada o in Australia, dalla Palestina in Australia, dalla Gold Coast (attuale Ghana) alla Giamaica, dall'Iran o da Singapore o dalla Birmania in India.
La graduale liberazione riguardò coloro che vivevano stabilmente nel Paese di immigrazione, non coloro che avrebbero dovuto rimpatriare, per i quali si dovette attendere la fine della guerra. Sorte altalenante ebbero i prigionieri dei francesi, conseguente alle vicende politiche della Francia: arrestati alla dichiarazione di guerra del 10 giugno e frettolosamente inviati nei campi di prigionia nel sud della Francia (fig. 1), rilasciati in seguito all'armistizio tra la Francia e l'Italia e la Germania, furono nuovamente internati nelle colonie mano a mano che esse si schierarono a fianco del generale De Gaulle e della sua “France libre”, a cominciare dall'Africa equatoriale francese, che abbandonò il governo di Petain fin dalla fine di agosto del 1940.
|
fig. 1 - il campo di Saint Cyprien |
Non è mia intenzione ricostruire questo universo di internamento, geograficamente vastissimo, pieno di situazioni molto diverse fra di loro, con garanzie giuridiche, condizioni di vita, durata dell'internamento assai diverse e in molti casi ancora da esplorare.
La mia intenzione è far affiorare la voce di questa varia umanità, cercare lo stato d'animo con cui affrontò la sventura, far emergere il contesto sociale e storico in cui si svolse, indagare, attraverso la comunicazione epistolare, l'intreccio tra la storia dei singoli e la Storia con la S maiuscola.
Purtroppo si tratta di posta difficile da rintracciare, forse non ha mai avuto fortuna collezionistica, forse è conservata gelosamente fra le memorie familiari, sta di fatto che il materiale non è abbondante, anzi, in alcune situazioni è quasi inesistente.
Gli internati civili fruirono delle stesse garanzie dei prigionieri di guerra militari, tra di esse quelle relative alla comunicazione con le famiglie previste dagli artt. 36- 37-38-39-40 della Convenzione di Ginevra del 1929 sul trattamento dei prigionieri di guerra.
La corrispondenza di un internato civile è un po' diversa da quella di un prigioniero militare. Quest'ultimo cade prigioniero quando il suo distacco dalla vita quotidiana è già avvenuto, le sue attività private sono già regolate, la caduta in prigionia già messa in conto come una delle possibili evenienze.
Non è così per il civile, che viene staccato dal suo contesto in maniera improvvisa, senza che abbia potuto riorganizzare le sue attività e che considera la prigionia come un evento sfortunato o ingiusto che dovrà risolversi quanto prima e che bisogna sopportare cercando di limitare i danni.
Non stupirà, quindi, che spesso la comunicazione familiare sia incentrata sulle problematiche di natura economica. Le famiglie di alcune categorie di internati, i marittimi o i dipendenti di imprese italiane con attività anche all'estero, fruirono di sussidi economici mensili, le famiglie di tutti gli altri si trovarono in gravi difficoltà per mantenere la normale vita quotidiana. Coloro che erano emigrati da tempo in alcuni casi avevano avviato delle imprese, possedevano dei beni, che vennero posti sotto sequestro e affidati ad un Ente creato nei vari Paesi, denominato “Custodian of enemy property”. Non sempre rientrarono in possesso per intero dei loro beni.
Gli internati nei Paesi più lontani soffrirono in modo particolare la mancanza di posta, tutti furono alle prese con l'angoscia dell'incertezza. L'arrovellarsi dei pensieri causato da una vita priva di movimento e povera di relazioni, nella quale ogni moto dell'animo viene amplificato, per qualcuno trovò sfogo sul foglio della lettera, che prese il posto della persona in carne ed ossa con cui comunicare.
GRAN BRETAGNA
Quando l'Italia entrò in guerra erano almeno 19.000 gli italiani in Gran Bretagna, la maggior parte di loro vi abitava da decenni.
Inizialmente internati nei campi allestiti presso ippodromi e complessi residenziali incompleti, come Huyton di fuori di Liverpool, la maggior parte fu in seguito internata sull'Isola di Man, dove campi di internamento erano stati istituiti anche nella prima guerra mondiale.
Non fu tenuto in considerazione il fatto che molti degli “stranieri nemici” erano rifugiati ebrei o antifascisti, subirono comunque l’internamento in base alla cittadinanza.
Più di 7.000 internati dei Paesi dell'Asse, compresi i marittimi, furono deportati in Canada e in Australia. La nave Arandora Star partì per il Canada il 1° luglio 1940 con un trasporto di internati tedeschi e italiani. Fu silurata da sottomarini tedeschi e affondata con la perdita di 714 vite, la maggior parte di internati.
Foglio lettera scritto dal campo di Onchan nell'isola di Man il 14 settembre 1942, diretto a Biella, giunto a destinazione il 13/10/1942. Da notare come nel testo vi siano punti esclamativi e punti interrogativi, ma mai un punto fermo.
14 settembre XX
Cara Rita
quelle tue del 8 e 15 agosto fanno del meglio per confortarmi ti ammiro e ringrazio, cerco di scacciare quella nostalgia che dopo lunghi mesi ha preso anche me, curioso! Non riesco a capirmi, finta ed amara è quella specie di allegria che ho ancora, ero stato capace di rassegnarmi a disgrazie, ed ora eccomi tutto differente, certamente che ne so la colpa, cerco di nascondere il mio stato, ma guardo in giro non sono l'unico! Le tue lettere mi fanno bene ne vorrei una al giorno, le notizie ci portano per mezz'ora il nostro pensiero lontano di questo posto, e poi? Si è stanchi, l'essere lontano da chi si ama, è il mio male quello di tutti noi, siamo in conserva, niente ti svaria, perchè non devo dirlo? Mi sembra di sfogarmi un po', e tutto finirà quel giorno che ti rivedrò, la salute c'è ancora, ma non è più quello che si vuole, ben altro si spera, so che mi comprenderai, sei l'unica persona che lo possa, credimi l'unico desiderio mio è di essere vicino a te lo spero notte e giorno non ti dimentico mai, voglio te, la mia bimba, scrivimi sempre Rita non dimenticarmi, provo di guarire pensando al bello trascorso assieme, mi passerà e tutto dimenticherò? Devo lasciarti non senza inviarti, col mio affetto tanti baci tuo
Romolo
bacioni alla mia Leyla, ciau
AUSTRALIA
Nei 5 anni che precedettero la guerra 9.776 italiani emigrarono in Australia, talvolta proprio per sfuggire al nazifascismo.
L’Australia si schierò a fianco della Gran Bretagna fin dal 3 settembre 1939 ed emanò per tutti gli stranieri misure di sicurezza relativamente ai movimenti e al lavoro, ma solo coloro che appartenevano ad organizzazioni ostili al governo australiano o che svolgevano particolari attività furono internati.
Con l’ingresso in guerra dell’Italia, furono 1544 italiani e 182 naturalizzati australiani di origine italiana ad essere inviati nei campi. Altri 200 giunsero dalla Gran Bretagna con la nave Dunera, che li sbarcò a Sidney il 7 settembre 1940. Altri 50 civili italiani, compresi donne e bambini, provenienti dal Sud Est asiatico e imbarcati a Singapore, arrivarono a bordo della nave Queen Mary e finirono internati a Tatura. La nave Queen Elizabeth ne scaricò 170 provenienti dalla Palestina, fra cui alcuni marittimi e anch'essi finirono internati nei campi di Tatura. Nel settembre del '42 il totale degli “enemy aliens” italiani era salito a 3.651, ma il numerò calò a 135 nel settembre del '44.
All'indirizzo http://naa.gov.au/collection/fact-sheets/fs107.aspx possono essere reperite numerose informazioni su internati in Australia.
Foglio lettera scritto il 25 ottobre 1941 da un marittimo già imbarcato sulla nave “Felce”, catturato in Palestina e trasferito in Australia nel campo di Tatura.
25/10/941 Carissima madre
scrivo per farti presente che la mia salute è ottima come pure voglio sperare che la presente vi trovi in perfetta salute. Vi ripeto ancora che io sono privo di vostre notizie e al più presto di ricevere una vostra cara lettera così posso essere un po' tranquillo, spero che anche mi fai sapere notizie di mia sorella e fratello che io non so più nulla di loro. Cara madre stai tranquilla sul mio riguardo e non state a pensare, fatti coraggio che tutto andrà bene come noi speriamo, ho tanto desiderato di vedervi almeno una volta ancora ma purtroppo devo solo sognarvi fino a che sarà la nostra Vittoria ti prego fai qualsiasi cosa per potere mandarmi una foto di mia figlia che sono tanto desideroso di vederla così sono un poco contento di vederla in foto baci cari miei sorelle e fratello e baci zie e zio Andrea baci Mafalda e mia Rosetta baci cari da tuo figlio Viscuso Alfio.
AFRICA EQUATORIALE FRANCESE
L'Africa Equatoriale francese, corrispondente agli attuali Chad e Repubblica del Congo, fu il primo territorio giuridicamente francese a schierarsi con il generale De Gaulle, contro il governo di Vichy e contro l'Asse. In essa gli italiani internati furono una cinquantina. La loro situazione fu assai complicata perchè non erano prigionieri di uno Stato, ma di un Governo di liberazione.
|
La cartolina che viene presentata non è particolarmente significativa per il messaggio, lo è come sistema per comunicare e come destinatario. Se queste erano le premesse, si può immaginare quali fossero le opportunità per gli internati di comunicare con le famiglie: è la mancanza di possibilità il messaggio più forte.
Si tratta di un tipo di cartolina simile a quelle emesse in Francia per corrispondere tra le 2 zone in cui era diviso il Paese, quella del Governo di Vichy e quella occupata, interi postali con stampata l'impronta di valore e alcune indicazioni circa le limitazioni nell'uso. Non fu possibile rifornire tutte le colonie e l'Africa Equatoriale provvide autonomamente stampandone di simili senza impronta di valore e vendendole con il francobollo adesivo già applicato ad un prezzo di 20 cent. di franco superiore al facciale del francobollo. Metà dello spazio della cartolina destinato al messaggio era utilizzato per elencare ciò che non poteva essere scritto!
Il destinatario primo è la “Missione cattolica – servizio dei prigionieri e degli internati civili di guerra” di Brazzaville, il secondo destinatario la Delegazione Apostolica di Leopoldville nel Congo Belga, il vero destinatario del messaggio il fratello, a sua volta prigioniero di guerra in un campo inglese in Kenia.
"Carte postale" inviata per via aerea da un internato civile a Fort Lamy, nel Chad, diretta a Brazzaville, affrancata per 2 franchi e 80 centesimi con francobolli dell’A.E.F., due dei quali sovrastampati da “France Libre”. La tassa aerea corrispondeva a 2 franchi. Da Brazzaville, quasi certamente, il messaggio fu radiotrasmesso.
|
Monsignore, io vi sarò molto obbligato se vorrete pregare la Delegazione Apostolica di trasmettere a mio fratello: prigioniero di guerra n. 2340 Papa Amilcare – settore B – campo 360 – East Africa Command, il mio indirizzo di internato civile italiano e che sono in buona salute. Credete, monsignore, al mio profondo rispetto e ai miei vivi ringraziamenti.
G. Papa
Trasmesso il 2/9/42.
|