digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

beshbarmak
Kirghizistan, 17 settembre 2019, Yvert 713
 
torna a

Filatelia Tematica



Se il piatto che questo mese l’allegra Brigata di Cucina del Postalista è andata a scovare niente meno che nelle steppe caucasiche vi sembra avere, almeno a giudicare dall’effige del nostro francobollo, un aspetto familiare... se vi pare di notare una vaga rassomiglianza con un piatto di tagliatelle al ragù, ebbene… ci avete visto giusto.

Sì, perché il beshbarmak è esattamente questo: un piatto di pastasciutta accompagnato da un condimento a base di carne. Non aspettatevi però di vederlo arrotolare intorno ai rebbi di una forchetta, e nemmeno di vederlo portare alla bocca con dei bastoncini, come farebbero i cinesi, perché i nomadi di etnia turca che popolano da millenni queste terre usano mangiarlo con le mani… con le “cinque dita”, che è poi la traduzione letterale del termine beshbarmak.

La pasta, ottenuta impastando farina di frumento, acqua e uova, tirata in sfoglie sottili (esattamente come si fa a Bologna) e poi tagliata in una foggia assai simile ai nostri maltagliati, viene fatta bollire in brodo di carne equina o ovina per pochi minuti e quindi scolata ed accomodata in un ampio vassoio rotondo chiamato tabak. Si provvede quindi a coprirla con la stessa carne da cui è stato ricavato il brodo, finemente tritata e insaporita con numerose erbe aromatiche, tra le quali spicca il coriandolo. A completare il tutto una generosa dose di chyk, cipolle soffritte nel grasso di montone, lasciate stufare nel brodo, ridotte in poltiglia e abbondantemente cosparse di pepe.

Ma il beshbarmak non è una semplice ricetta: è, se la parola avesse un senso per delle popolazioni nomadi, una sorta di piatto nazionale, un simbolo di ospitalità da offrire secondo un rituale preciso e tanto più stringente se tra gli invitati c’è qualche persona importante.

Si inizia con uno shorpo, brodo accuratamente sgrassato servito nelle tradizionali tazze chiamate kese (in primo piano a destra nel francobollo) che funge in qualche modo da aperitivo, e si finisce con l’ak-serke, che si dice serva a favorire la digestione, ed è ancora brodo ma stavolta addensato con l’ayran, una sorta di yogurt molto liquido, o con il kymyz, che altro non è che latte di cavalla inacidito.

Nel mezzo viene servito il nostro beshbarmak, rigorosamente portato alla bocca con le cinque dita e accompagnato nei giorni festivi da kazy e chuchuk, le salsicce affettate (equine le prime e ovine le seconde) che si possono notare nel piatto in secondo piano, sempre nel nostro francobollo.

Se poi l’occasione è veramente importante, allora viene posto a bollire un montone intero, e l’ospite d’onore, pescando nel pentolone chiamato kazan, sceglie per sé la testa, che offrirà in piccoli bocconi agli altri commensali, distribuisce i jambash (i cosciotti) agli aksakal, gli anziani, e il kuiruk (la coda) alle loro donne, la colonna vertebrale (omurtka) ai ragazzi, gli zampetti agli adolescenti, e così via seguendo un rituale ben preciso che ha ben poche varianti a dispetto dell’enorme diffusione geografica del nostro beshbarmak che, con nomi spesso diversi da quelli che vi abbiamo proposto (sono quelli in uso nel Kirghizistan, da dove proviene anche il francobollo) è consumato in tutta l’Asia Centrale, dalle sponde occidentali del Mar Nero fino alle steppe della Mongolia occidentale.

Una tradizione vecchia di millenni, che secondo alcuni ricercatori potrebbe addirittura mettere d’accordo italiani e cinesi sulla primogenitura degli spaghetti: sarebbero stati questi nomadi a diffondere in Europa, per il tramite degli Unni che da queste terre provenivano, e in Cina, grazie ai contatti di “confine” nella regione del moderno Xinjang, l’usanza di miscelare acqua e farina per ottenerne una pasta alimentare atta ad essere ridotta in striscioline da consumare previa bollitura.

Sarà vero?

torna a

Filatelia Tematica