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La guerra italo-turca nelle corrispondenze dei pistoiesi (parte 1ª) | |
Enrico Bettazzi | |
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Soldati dell’84° reggimento di fanteria, prevalentemente costituito con militari dei distretti di Firenze, Pistoia e Arezzo. La conquista della Libia, o meglio della Tripolitania e della Cirenaica, col conflitto che vide l’Italia contrapposta all’Impero ottomano nel 1911-1912, fu una guerra coloniale di grandi ambizioni per il giovane Regno che celebrava allora i primi cinquanta anni di esistenza. La guerra non si esaurì con la pace coi Turchi, complice l’avvio della prima guerra mondiale ed il ridimensionamento della presenza italiana in quei territori. La Libia, intesa come entità territoriale sottoposta all’Italia, fu tale solo negli anni trenta. Fu una occupazione difficile e sanguinosa. Fu anche un momento di cesura politica interna col nazionalismo e il militarismo crescenti; fu fonte di grande propaganda patriottica, della quale ci rimangono le cartoline illustrate coloniali, le copertina dei maggiori periodici a stampa e molti libri scritti a sostegno. Uno di questi, coevo delle vicende, riporta i testi delle corrispondenze che i militari toscani avevano inviato con i propri resoconti alla testata fiorentina “Nuovo Giornale”; lettere che raccontano le vicende belliche, l’impatto col campo di battaglia e con culture ed usanze diverse, viste da occhi che per la maggioranza non avevano vissuto se non la realtà del proprio villaggio. Baccio Bacci, giornalista del “Nuovo Giornale” e corrispondente di guerra, raccolse tutte queste corrispondenze toscane sotto il titolo di “La Guerra Libica descritta nelle lettere dei combattenti“ e le pubblicò già nel 1912. Enrico Bettazzi
BIBLIOGRAFIA C. CAUSA, La guerra italo – turca e la conquista della tripolitania e della cirenaica, Firenze, 1913 B.BACCI, La Guerra Libica descritta nelle Lettere dei Combattenti, Firenze, 1912
1911 La grande trincea (Getulio Giannoni dell’84° fanteria, di Lamporecchio, ai genitori a Firenze) “I turchi si sono molto intimoriti delle nostre armi, e specie quando sentono piovere e frullare per l’aria le granate dei nostri cannoni. Ora siamo distanti da Tripoli. Si è fatta una trincea che prende da mare a mare: sarà lunga 15 chilometri ed è occupata tutta da soldati di fanteria, a distanza poco meno di un braccio da un soldato all’altro. Questa non si abbandona mai né notte né giorno. Col compagno vicino facciamo due ore per ciascuno la vedetta. Qui ci siamo quando va sotto il sole, qui ci siamo a prenderci tutto il fresco della notte, qui ci siamo quando il sole si leva e quando brucia. Non possiamo allontanarci un minuto dal nostro posto dove si passano le notti e le giornate allegramente, senza pensieri, come se niente fosse”. Vivo per miracolo (Marinaio Alberto Neri, di Pistoia, al fratello) “Ci pensi, Arturo, che dovevo essere trucidato dalle mani di questa brutta gente? Senti come andò. L’altro giorno il Comandante cercava quattro cannonieri che volessero andare a terra di volontà propria, per sparare i cannoni delle navi sbarcate; perché l’esercito non è pratico dei nostri pezzi. Io che ho sempre desiderato di combattere per terra, mi presentai per essere scelto volontario ed egli mi disse: vai a preparare il necessario e quando sei pronto vieni in riga a poppa insieme con gli altri. Ciò che feci per il primo.
I fucili italiani « caricati ad acqua » ! (Gino Tuci del 6° fanteria, di Bonelle, ad un amico) “Non potete immaginare quanto sia pieno di odio il nostro cuore contro questi vigliacchi che l’Italia ha sfamati per essere, poi, ricompensata in quel modo. Ma soprattutto l’abbiamo coi Turchi, perché furono essi che misero su gli arabi contro di noi, dando loro ad intendere un monte di fandonie, come quella che i nostri fucili erano caricati ad acqua. Ma ora non lo diranno più, perché li hanno provati e hanno visto bene che buttano pillole. Se poi si sentono di farne un’altra cura, vengano e noi siamo pronti a rincarare la dose”. “Ah! Mio bel cielo sereno…” (Caporale Pietro Vannucchi dell’ 11° bersaglieri, di Piteccio, al fratello) “Mi torna in mente la mia tanto amata Patria. Oh! Mio bel cielo sereno, oh! Mia piccola casa! Beato sia quel giorno in cui vi dissi addio, perché chissà se in avvenire potrò tornarvi! Beato sia quel bacio che detti alla mamma ed a tutti i miei cari di famiglia e agli amici!”. La morte di tre valorosi – “L’arma mi fa cilecca” (Mario Franceschi, del 23° fanteria, di Cutigliano, alla famiglia) “All’alba circa 20.000 uomini in colonna compatta si avanzano per sloggiare il nemico dall’oasi sulla parte orientale del deserto. Dopo mezz’ora di cammino il nemico ci scorge e comincia un attacco a colpi di shrapnels, del resto quasi innocui, tanto che un solo uomo, un certo Satacchini del mio plotone, rimase ferito al braccio destro. Il 4 Dicembre occupiamo Ain- Zara (Giovanni Livi del 2° genio, di Monsummano, al fratello) “I resultati sono stati molto buoni, perché abbiamo occupato tre forti e diverse case. Con la conquista di Ain Zara i turchi saranno costretti ad arrendersi...Provavo molto dolore vedendo i miei compagni cadere feriti. Ieri notte alle 3 son stati impiccati 14 arabi che il giorno 23 tradirono i nostri bersaglieri. Sono andato anch’io ad assistere a quella esecuzione dolorosa, ma necessaria”.
(continua)
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