digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

aleatico
Italia, 10 ottobre 2015, Yvert 3598
 
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Con l’arrivo dell’estate, complice anche la fine del lock-down, l’allegra Brigata di Cucina del Postalista ha deciso di concedersi qualche giorno di vacanza al mare. Abituati ad inseguire le nostre curiosità enogastronomiche in località esotiche spesso remote, abbiamo stavolta deciso di restare vicino a casa… anche perché il mare dell’Elba non ha assolutamente niente da invidiare a nessun altro mare.

Eccoci dunque sull’isola che fu la miniera di ferro di etruschi e romani, e che di entrambi i popoli fu anche fornitrice di ottimi vini, perché fin dall’antichità questo mare, questo sole, questa terra e questa posizione geografica hanno consentito la produzione di uve di qualità. E in particolare, quando si parla di Elba, il primo vino che viene in mente è l’Aleatico.

Sembra che siano stati proprio i romani a introdurre il vitigno, pare di origine greca, sull’isola, tanto che Ottorino Pianigiani, nel suo Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana uscito nel 1907 fa derivare il termine che indica tanto il vitigno quanto il vino che se ne ricava da “ellenatico”, proveniente dall'Ellade. Secondo altri invece il vitigno è autoctono italiano, presente anche in Puglia e nel Lazio, e il suo nome deriverebbe dalla caratteristica di maturare precocemente: lugliatico (che matura a luglio), tramite una forma dialettale emiliana.

Comunque sia, dopo la maturazione i grappoli vengono fatti appassire all’aria o in appositi locali, in modo far crescere il già ragguardevole tasso zuccherino dell’uva, e dopo la pigiatura, la fermentazione e la separazione dalle vinacce l’Aleatico è pronto per finire nelle botti. Non è tradizionalmente un vino da invecchiamento, anche se lo regge bene, e la tendenza dei viticoltori di oggi è quella di commercializzarlo già dopo il primo anno.

Quello che si ottiene è un vino passito naturalmente liquoroso che ha avuto tra i suoi grandi estimatori personaggi storici legati all’Elba come Cosimo de’Medici e soprattutto Napoleone Bonaparte, che durante il suo forzato soggiorno sull’isola pare trovasse proprio nell’Aleatico conforto dall'amarezza della solitudine e dell'esilio, e che si adoperò per incentivarne la coltivazione e la diffusione.

Erano ancora i tempi della viticoltura “a dorso d’asino”, quando il paesaggio elbano era scolpito da muri a sasso e da terrazze, e in quelle zone impervie e scoscese crescevano aggrappati al terreno roccioso i filari non solo dell'Aleatico, ma anche di tutte le altre uve elbane: il Sangioveto, il Procanico, l'Ansonica… un tesoro spesso raggiungibile solo con somari caricati di pesanti basti.

Oggi i viticoltori elbani si sono modernizzati e, cosa abbastanza stupefacente se si considera lo spiccato campanilismo che da queste parti è sempre stato molto sentito, hanno creato un Consorzio di Tutela, al quale aderiscono una trentina di produttori, che ha ottenuto la DOCG per l’Aleatico, e la DOC per un’altra decina di vini elbani, tra i quali l’Ansonica Passito (che molti erroneamente definiscono “Aleatico bianco”), il Moscato Passito, il Procanico e l’Elba Bianco.

Nel solco della tradizione è invece rimasto l’accompagnamento ideale dell’Aleatico: la schiaccia briaca, un dolce al cui impasto (niente uova, olio, zucchero, uvetta, frutta secca e alchermes) viene aggiunto, guarda caso, proprio un bicchiere di Aleatico. Il risultato è un dolce abbastanza secco, che “chiama” altro vino, altro Aleatico, e che proprio per questo è, appunto, ubriaco…

...e, visto e considerato che le strade dell’Elba abbondano di curve e dirupi a picco sul mare, sarà buona regola che almeno chi poi deve guidare si astenga, povero lui, dal terminare la cena con la splendida accoppiata di Aleatico e schiaccia briaca.

 

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