digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

prosecco
Italia, 24 marzo 2012, Yvert 3276
 
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Ed or ora immollarmi voglio il becco
Con quel melaromatico Prosecco.
Di Monteberico questo perfetto
Prosecco eletto ci da lo splendido
Nostro Canonico. Io lo conosco
Egli è un po’ fosco, e sembra torbido;
Ma pure è un balsamo sì puro e sano,
Che il Sanlorano, Il Frontignacco,
Sol un Macacco, Sguaiato, Impazzato
Dir potria, ch’è miglior vino
Del prosecco del Ghellino.

Così, nel 1754, un divertente e ironico ditirambo pubblicato dal vicentino Aureliano Acanti, membro dell’Accademia Olimpica. Il Roccolo, questo il titolo del poemetto, cela sotto una rivisitazione parodica di elementi compositivi classici una vera e propria guida del vino vicentino ante litteram, in cui sono citati una trentina di vini che l’autore considera i migliori della sua terra, completi di indicazioni territoriali, note organolettiche e annotazioni di tecnica enologica.

E la sorpresa è che il Prosecco del Ghellino cantato dal poeta come il migliore di tutti, è quello prodotto nella tenuta della famiglia vicentina dei Ghellini, proprietari del roccolo (edificio adibito alla pratica dell’uccellagione) di Monte Berico, alle porte di Vicenza, dove si tenevano i banchetti che forniscono all’autore il pretesto per dilungarsi nelle sue disquisizioni enologiche.

E che accanto al Prosecco, appaiono anche altri vini e vitigni, alcuni ancor oggi coltivati nella zona, come Marzemino e Vespaiola; altri ormai dimenticati, come Peverino, Carnoso e Formicaro; e poi quelli oggetto di recente riscoperta, come Groppello e Pedevendo; e quelli dei quali sopravvivono solo piccole colture di nicchia, quali Pomello, Cruvaio e Corbino; e per finire vini ancor oggi celebri, ma associati ad altre realtà geografiche: Vernaccia, Lambrusco, e appunto il nostro Prosecco.

Il quale del resto era gìa nominato in uno scritto del nobiluomo inglese Fynes Moryson un secolo e mezzo prima. Moryson faceva discendere il Prosecho dall’antichissimo Pucinum, già apprezzato dall’imperatore Augusto, e gli storici triestini di inizio ‘500 concordavano nell’individuare nell’odierno Castello di Prosecco l’antico castellum nobile vino Pucinum. E prima ancora, nel 1382, sempre Trieste, nel porsi sotto la protezione austriaca, si impegnava con un “Atto di dedizione” a fare omaggio agli Asburgo di 100 anfore di Prosecco all’anno.

Conteso tra queste due paternità, il bianco leggero e frizzante vinificato principalmente a partire dal vitigno Glera (85% dei mosti, secondo il disciplinare DOC ottenuto nel 2009) è oggi prodotto in tutte le province del Friuli-Venezia Giulia e in quelle del Veneto, con l’esclusione di Rovigo e Verona. Più di 8000 sono le cantine che lo producono, per un totale di oltre 330 milioni di bottiglie all’anno: numeri che nel 2013 hanno consentito al nettare cantato dall’accademico vicentino di fine ‘700 di superare sui mercati mondiali lo Champagne francese.

Una celebrità planetaria raggiunta grazie al successo delle versioni spumantizzate, che però sono venute di moda solo negli ultimi decenni del secolo scorso, e si sono evolute fino a diventare protagoniste immancabili del rito dell’aperitivo prima e dell’apericena poi.

Il Prosecco classico, quello che si sposa a meraviglia col pesce e con gustosi stuzzichini locali, era un vino prevalentemente fermo, con alcune varianti naturalmente frizzanti a seguito di fermentazione in bottiglia.

Ed è così che lo preferiamo noi dell’allegra Brigata di Cucina del Postalista: una bella bottiglia di Prosecco di Colfondo, fresco e naturalmente frizzante naturale, accompagnata da varie preparazioni a base di acciughe dissalate e condite con olio, aceto (poco, perché altera la percezione degli aromi fruttati del Prosecco), erbe e aromi vari…

...e Sol un Macacco, Sguaiato, Impazzato potrebbe darci torto.

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