digressioni gastro - filateliche a cura della Brigata di Cucina del Postalista |
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pesto alla genovese | |||
Giordania, 27 febbraio 2010, Yvert 1885 | |||
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Il francobollo di questo mese, emesso il 27 febbraio 2010 dalla Giordania in una serie di otto valori dedicati ad altrettante piante aromatiche, non è intitolato espressamente a una specialità gastronomica, ma ad una pianta, il basilico, che però a una squisitezza culinaria italiana rimanda direttamente. Si tratta dell'Ocimum Basilicum, pianta aromatica originaria dell'India e fin dall'antichità conosciuta e apprezzata al punto di essere battezzata col nome greco di basilikon, "pianta regale", la quale è ampiamente impiegata nelle cucine di diverse parti del mondo, dalla Thailandia al Messico, ma che ha trovato la sua consacrazione nelle colline dell'entroterra genovese, e più esattamente a Prà. E' infatti qui che trova il suo habitat più congeniale una varietà di basilico particolare, la "Genovese Gigante", che si caratterizza per il verde brillante delle sue foglie e per la delicatezza del sapore che, come dicono a Zena "non deve sapere di menta". Non deve sapere di menta perché il risultato finale, il celeberrimo pesto alla genovese, orgoglio e emblema della cucina ligure nel mondo, ne sarebbe irrimediabilmente rovinato. Su questo punto, il Disciplinare elaborato dal Consorzio del Pesto Genovese è tassativo: per fare il pesto ci vuole il basilico di Prà. Sugli altri ingredienti c'è più libertà, e così anche l'olio proveniente da regioni contigue alla Liguria, i pinoli comunque di area mediterranea (preferibilmente pisani), e i formaggi pecorini non sardi sono ammessi. Per quello che riguarda l'aglio, il Disciplinare parla genericamente di "quello tradizionalmente usato" e comunque proveniente dall'Italia, ma i puristi storcono il naso, considerando irrinunciabile l'uso di una varietà locale, quella di Vessalico (nell'imperiese) che risulta essere particolarmente delicata e digeribile. L'origine della celeberrima salsa (attestata nella sua forma odierna solo dal 1800) viene da taluni fatta risalire addirittura al moretum degli antichi romani, ottenuto pestando nel mortaio aglio, semi di coriandolo, ruta, prezzemolo e formaggio, con l'aggiunta d'olio. In realtà pare che la "madre" del pesto sia da ricercarsi nella rinascimentale aggiata (agliata), un condimento a base di aglio pestato, sciacumi (frutta secca), olio d'oliva e aceto, usato dai marinai della Repubblica Genovese per insaporire e conservare il pesce. Ingentilita con l'uso di abbondante basilico e arricchita dall'aroma dei pinoli, la nostra aggiata ha dato origine al pesto come lo conosciamo noi. Invariato nei secoli, l'uso di un mortaio di marmo e di un pestello di legno: l'impiego del moderno frullatore infatti scalda la salsa, rovinando il delicato equilibrio dei suoi aromi. L'operazione deve svolgersi con una certa velocità, per evitare che l'ossidazione degli oli essenziali contenuti nelle foglie di basilico conferisca al pesto un colorito troppo scuro e un sapore troppo acuto. Per la stessa ragione, è importante non lasciar passare troppo tempo tra la preparazione e l'utilizzo. Utilizzo che trova i suoi partner ideali nelle troffie (pasta corta di grano duro e acqua) e nelle trenette (sorta di bavette di pasta fresca all'uovo). Queste ultime, preferibilmente avvantagiae (cioè dire prodotte con farina integrale, che conferisce rugosità, e quindi capacità di trattenere la salsa) sono le preferite dai genovesi. L'aggiunta di patate tagliate a cubetti e fagiolini verdi rotti in pezzi di qualche centimetro, oltre ad arricchire il piatto, ha lo scopo di rendere l'acqua di cottura più "collosa", così che, al momento di aggiungerne un po' al pesto appena prima di condire la pasta, questo risulterà più cremoso. L'accorgimento, poco usato nel caso delle troffie e più comune con le trenette, diventa obbligatorio per la preparazione dei cosiddetti mandilli de saea (alla lettera, "fazzoletti di seta"), lasagne sottilissime di pasta all'uovo. Tanto sottili da essere cotti per pochissimi minuti e a due a due per evitarne che si incollino o si rompano, i mandilli vengono poi "impiattati" a strati: un "fazzoletto", patate e fagiolini, pesto, un altro "fazzoletto", e via così fino a esaurimento... una prelibatezza che i frenetici ritmi della vita moderna rischiano di far scomparire. |
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