digressioni gastro - filateliche a cura della Brigata di Cucina del Postalista |
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torresmos | |||
Portogallo - Azzorre, 1° gennaio 2005, Yvert 496 | |||
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A poco più di due anni dalla precedente visita, l’allegra Brigata di Cucina del Postalista sbarca nuovamente alle Azzorre, stavolta per gustare un piatto che, esattamente come il polvo guisado à moda dos Açores che avevamo assaggiato la volta scorsa, non è poi troppo diverso da altre specialità simili che è possibile trovare in altre parti del mondo, ma che è reso unico dai sapori caratteristici di queste isole vulcaniche. Stiamo parlando dei torresmos, che nient’altro sono che quelli che a Bologna (e in molte altre parti di Italia) si chiamano ciccioli, ovvero piccoli pezzi di carne di maiale, in genere provenienti dalle parti più grasse e tendinee, lasciati cuocere lungamente a bassa temperatura nel loro stesso grasso fino a renderli morbidissimi, secondo la tecnica che i francesi chiamano confit. I torresmos si mangiano caldi, appena fatti, oppure resi croccanti e friabili da una breve ulteriore cottura ad alta temperatura nello strutto, e conservati per essere consumati più tardi come stuzzichino o antipasto. Alle Azzorre il taglio di carne maggiormente usato sono le costole, tagliate a pezzi di qualche centimetro di lunghezza avendo cura di lasciarle comunque attaccate a due a due. Prima della cottura però, e qui entrano in ballo i sapori che rendono unici i ciccioli di queste isole oceaniche, occorre marinare la carne per almeno quattro ore, meglio se per una notte intera, e l’ingrediente principale della marinata è la massa de malagueta, una pasta ottenuta dalla macinazione dei tipici peperoncini delle Azzorre, ai quali il terreno vulcanico e il particolare clima isolano conferiscono un aroma unico al mondo. Alla malagueta si aggiungono, in proporzioni variabili, almeno altri due tipi di peperoni in polvere (di cui uno piccante e l’altro dolce), abbondante aglio pestato e, ed ecco l’altro “segreto” dei torresmos, il vinho de cheiro, il vino dolciastro e asprigno a bassa gradazione alcolica che già avevamo trovato nella ricetta del polpo: per gli enologi probabilmente non sarebbe nemmeno da definire vino, ma alle Azzorre è molto apprezzato e chi ha provato ad assaggiare i torresmos marinati in altri tipi di vino sostiene che la differenza si sente, eccome… Arrivato il momento della cottura, carne e marinata vengono messi in un tegame dal fondo spesso aggiungendo un po’ di strutto e, dopo una prima sigillatura di qualche minuto a fuoco alto, lasciati cuocere a temperatura più bassa per circa tre ore, rimestando di tanto in tanto con precauzione perché, soprattutto verso il termine della cottura, la carne è talmente tenera da staccarsi dalle ossa. Come dicevamo, i torresmos costituiscono spesso il piatto principale del pasto, in genere accompagnati da una bella insalata mista, ma alle Azzorre è molto comune vederseli offrire come spuntino o come accompagnamento dell’aperitivo anche nei bar e nei chioschi per strada; in questo caso non è infrequente accompagnarli a delle piccole focaccine simili alle nostre tigelle: sono i pão de torresmo, che più o meno suona come “pan di ciccioli”, e si ottengono impastando farina di miglio e pé de torresmos, alla lettera “piede di ciccioli”, ovverosia lo strutto che rimane nella padella a cottura ultimata. Una delizia per il palato… ma non andate a raccontarlo al vostro medico...
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