digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

escabeche
Portogallo, 20 luglio 2015, Yvert 4035
 
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Il termine escabeche è entrato nei dizionari delle lingue neolatine tramite il catalano escabetx, che a sua volta deriva dall'arabo sikbâg, o meglio dalla sua pronuncia più popolare e volgare, che suonava più o meno come iskebech.

Nella traduzione in castigliano del Llibre del Coch, scritto dal grande maestro di cucina Ruperto di Nola nei primi anni del '500 si incontra per la prima volta la parola escabetche, mentre il Llibre de Sent Soví, un ricettario catalano anonimo della metà del secolo precedente (riscoperto e pubblicato nel 1952) al quale pare che Ruperto abbia ampiamente attinto, ci parla di un escabeig a peix fregit.

Nelle cucine e sulle tavole invece lo scapece, declinazione italiana della stessa parola, era entrato da diversi secoli, visto che già Apicio aveva descritto preparazioni simili, e addirittura c'è chi al grande gastronomo romano fa risalire l'origine stessa del termine: esca Apicii, vale a dire piatto, ricetta di Apicio.

Escabeig a peix fregit: scapece di pesce fritto... e al netto delle polemiche dei linguisti, questo è rimasto, invariato attraverso i secoli, il significato vero, pratico, gastronomico, quello che finisce nei nostri piatti e di lì nelle nostre bocche, del termine.

Lo scapece è un sistema di cottura che consiste nell'infarinare e friggere pesci in genere di scarso valore, talvolta tagli di carne poco pregiati come gli zampetti di maiale, e molto spesso verdure, in particolare zucchine e melanzane, per poi coprirli con una specie di salsa a base di cipolle e aceto.

Questa salsa viene ottenuta facendo appassire nel solito olio d'oliva, buono e abbondante nei paesi dove l'escabeche è più apprezzato, una discreta quantità di cipolle avendo cura di "spegnerne" la cottura con una generosissima spruzzata di aceto di vino. Una volta ricoperta la materia prima con la salsa, si aspetta almeno un giorno prima di consumare il tutto.

Le varianti sono, come è naturale in una ricetta così antica e popolare, innumerevoli. C'è chi mette anche l'aglio, chi usa abbondante peperoncino e chi invece usa il pepe, mentre tra le erbe aromatiche l'alloro è praticamente onnipresente, spesso accompagnato (o talvolta sostituito) da rosmarino, salvia, sedano e prezzemolo. Anche il grado di cottura delle cipolle può variare, e in certe zone del Portogallo non è difficile trovarle addirittura semicrude.

E proprio in Portogallo siamo andati ad assaggiare una variante di escabeche che si è recentemente guadagnata un'emissione filatelica, quello a base di carapaus.

Che in Portogallo non sono gli sgombri, come erroneamente spesso si sente dire (quelli si chiamano cavalas) ma i sugarelli, pesce simile ancorché forse meno pregiato, di cui le coste lusitane sono particolarmente ricche, al punto che dopo il baccalà (autentico caposaldo della cucina portoghese) il sugarello è il pesce più mangiato da queste parti.

In ogni caso, anche con lo sgombro l'escabeche vien buono, così come con le sarde, ma in questo caso, e siamo in Veneto, si parla piuttosto di sarde in saor. In Piemonte invece la cipolla quasi sparisce, c'è più aglio, e in mancanza del pregiato (e minacciato di estinzione dall'inquinamento e dalla pesca sconsiderata) carpione vengono usati pesci più poveri, come le tinche, le alborelle o le anguille e verdure... il tutto preparato, appunto, in carpione!

Capirete bene che, in mezzo a tanta dovizia di sapori, la querelle linguistica sull'origine del nome perda agli occhi, o forse sarebbe meglio dire ai palati, dell'allegra Brigata di Cucina del Postalista ogni importanza...

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