digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

cocomero
Stati Uniti d'America, 11 luglio 2015, Yvert 4823
 
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Nel deserto del Kalahari, dove pare abbia avuto origine, lo chiamano tsamma: a riferirlo è il grande esploratore scozzese David Livingstone che intorno al 1845, un quarto di secolo prima del celeberrimo "Dr. Livingstone, I presume" pronunciato da Henry Stanley, stava vivendo nell'odierno Botswana la sua prima avventura africana.

In quella zona desertica lo tsamma costituiva da sempre per le popolazioni locali una provvidenziale riserva di liquidi, sali minerali e zuccheri, compito che ancora oggi assolve egregiamente nella canicola delle nostre città, almeno a giudicare dall'affollamento che si registra nelle serate estive intorno ai chioschi che vendono l'anguria… anzi, come si chiama dalle mie parti in Toscana, il cocomero.

Che poi, per quando dissimili nel suono, sono parole che in realtà hanno lo stesso significato. Anguria muove dal greco αγγούριον (angoúrion), che pare indicasse il cetriolo selvatico, mentre cocomero ci arriva dal latino cucumis, cetriolo. E guarda caso, a testimonianza ancora una volta della stretta parentela tra le due cucurbitacee, in Abruzzo il nome dell'anguria è cetrone, mentre in inglese il cetriolo è chiamato cucumber.

E il cocomero? Quello, come si vede nel nostro francobollo, lo chiamano watermelon, melone d'acqua, con riferimento evidente al suo contenuto di liquidi che già nell'Egitto di 5000 anni fa faceva sì che il frutto venisse spesso deposto nelle tombe dei faraoni come provvista idrica per il viaggio nell'aldilà.

Oggi come oggi nel mondo occidentale, dove è stato introdotto intorno al XIII° secolo dai Mori, se ne coltivano un migliaio di varietà diverse. Ci sono quelli piccoli, che non superano il chilo, e quelli che arrivano a pesare quasi un quintale. Esistono varietà (apprezzate soprattutto, e chissà perché, in Giappone) con la polpa gialla o biancastra e c'è chi, sempre in Giappone, si è divertito a farli crescere dentro a contenitori cubici, dei quali ovviamente il prodotto finale finisce col prendere la forma.

Da noi, tradizionalmente, il cocomero era quasi sferico, con una buccia dura e poco spessa di colore verde scuro. In quella buccia i venditori facevano un'incisione triangolare o quadrata ed estraevano un sottile spicchio, il tassello, che veniva fatto assaggiare al cliente a garanzia della qualità del prodotto… se era buono lo compravi, altrimenti te ne apriva un altro.

Era… perché oggi, in epoca di qualità globalizzata e preincartata, le angurie sono quasi tutte ovali, hanno una buccia più spessa e più chiara, con striature scure: è la varietà che una volta, quando era più rara, si chiamava "americana", ed è per l'appunto raffigurata nel nostro francobollo, che dall'America viene.

Oggi il tassello, forse financo vietato da qualche regolamento euro-igienico, non lo fa più nessuno… e chissà se ancora sopravvive l'usanza, immortalata da film neorealisti e commedie all'italiana, di seppellire il cocomero in riva al mare per goderselo bello fresco dopo la tradizionale "cofana" di fettuccine, la teglia di pasta al forno e la parmigiana di melanzane portate da casa fin sotto l'ombrellone spartanamente piantato nella spiaggia libera.

In compenso pare che qualcuno abbia scovato per il nostro cocomero (il cui nome scientifico è citrullus lanatus) insospettate virtù afrodisiache: contiene infatti un aminoacido (la citrullina) che sarebbe in grado di dilatare i vasi sanguigni facilitando di conseguenza l'erezione. Peccato che questa sorta di viagra naturale non si trovi nella rossa polpa succosa e zuccherina, ma nella bianca e amarognola parte interna della buccia e finisca invariabilmente nel bidone dell'immondizia.

Pazienza… noi dell'allegra Brigata di Cucina, incuranti dei richiami della carne, ci apprestiamo a goderci un'altra estate di spicchi di cocomero ghiacciato al chiosco che anche quest'anno aprirà nella piazzetta sotto casa.

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