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![]() digressioni gastro - filateliche a cura della Brigata di Cucina del Postalista |
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tteokbokki | |||
Corea, 21 settembre 2023, Yvert 3450 | |||
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Tteok, e dunque gnocchi; perché in coreano questa parola designa generalmente una piccola porzione di impasto di acqua e farina destinata ad essere fritta, bollita, cotta al vapore o in forno. E la farina può essere di frumento (raramente), o di fagioli mungo (più spesso), oppure (quasi sempre) di riso. I tteokbokki sono fatti con la farina di riso glutinoso che, ad onta della sua definizione, non contiene glutine, come del resto nessun altra varietà di riso: “glutinoso” in questo caso è solo un aggettivo che indica la tendenza di questo riso ad essere molto più appiccicoso degli altri una volta cotto. E questo è dovuto non già al glutine, ma ad un tipo di amido, l’amilopectina, particolarmente agglutinante. Serviti prevalentemente nei pojangmacha (banchi di ambulanti) o nei piccoli bar con cucina (bunsikjip) hanno una forma cilindrica con una lunghezza di un paio di centimetri e uno spessore di circa mezzo, e vengono brevemente scottati nell’acqua prima di finire saltati in padella con il condimento destinato ad accompagnarli. Nei manuali di cucina coreana si comincia a parlarne nella seconda metà del XIX secolo, e ne sono descritte numerose varianti, segno che erano già da allora ben radicati nella tradizione gastronomica del paese. Particolarmente interessante era la versione chiamata gungjung-tteokbokki, quella mangiata alla corte imperiale, dove i nostri gnocchi erano accompagnati da costine di manzo e maiale, ravioli al vapore, semi di sesamo e pinoli tostati, funghi e soprattutto dalla celebre e saporitissima salsa di soia prodotta dalla famiglia Yun-Papyeong, fornitrice esclusiva della corte imperiale. La versione che va per la maggiore oggi pare invece che sia nata negli anni '50 del secolo scorso per un caso fortuito, quando un cuoco un po’ maldestro fece cadere una porzione di tteokbokki in una padella di salsa piccante destinata ad un altro piatto. Il padrone del locale lo redarguì severamente, ma siccome nella Corea del tempo non si buttava via niente, decise di mangiarli ugualmente: gli piacquero a tal punto che da quel giorno li inserì nel menù, ed in breve tempo conquistarono il palato di tutti. Il segreto di questa ricetta, che noi dell’allegra Brigata di Cucine del Postalista abbiamo assaggiato in entrambe le sue versioni, sta nella salsa gochujang a base di peperoncino rosso, farina di riso e fagioli di soia fermentati: è proprio il peperoncino a conferire il tipico colore rosso ai nostri gnocchi, che possono essere cucinati in due modi. Quelli più apprezzati sono i cosiddetti gireum-tteokbokki: saltati in padella e poi cosparsi di semi di sesamo e erba cipollina tritata, il loro tempio indiscusso è il Tongin Market di Seoul, con i suoi banchi straripanti di mercanzia. Possono però essere gustati anche come gungmul-tteokbokki: una sorta di zuppa spesso arricchita anche con eomuk (polpettine di pesce), uova sode e ravioli mandu. Accanto a queste preparazioni tradizionali ne esistono anche altre, a volte frutto della contaminazione, secondo i dettami della cucina fusion, con altre tradizioni culinarie: ricette che prevedono l’uso di salse cinesi o indiane, in particolare al curry e perfino, ma ci siamo ben guardati dall’assaggiarli, una improbabile versione “alla carbonara”.
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