digressioni gastro - filateliche a cura della Brigata di Cucina del Postalista |
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tagra | |||
Marocco, 13 luglio 2020, Yvert 1886 | |||
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Lasciata la Tunisia e la dolce borzguene, l’allegra Brigata di Cucina del Postalista si sposta, seguendo le coste mediterranee nordafricane, verso ovest fino a raggiungere le mitiche colonne d’Ercole, per assaggiare una particolare versione del tajine, uno dei piatti più diffusi, in tutte le sue varianti, della tradizione culinaria magrebina. Quello che siamo venuti a cercare in questa regione compresa tra Tetouan e Tangeri è il tagra: un tajine di pesce, che si differenzia da tutti gli altri non solo per la forma del contenitore all’interno del quale si realizza la cottura, il quale oltre che rotondo può essere anche ovale, ma anche per l’assenza del molto spesso finemente decorato coperchio conico che funge da copertura e da “camino” dei classici tajine. Detto coperchio, lo ricordiamo, ha il compito essenziale di far condensare parte de vapore che si forma durante la lenta cottura normalmente richiesta dal tajine, facendolo ricadere nel vassoio per mantenere la pietanza umida e succulenta, ma nel caso del nostro tagra questo accorgimento è superfluo, perché il pesce azzurro (essenzialmente acciughe e sardine) richiede ovviamente una cottura molto meno lunga del montone, il manzo o il pollo usati negli altri tajine. In ogni caso, così come nel caso del tajine, anche la parola tagra identifica sia il contenuto, ossia la pietanza che andiamo a gustare, sia il contenente, e cioè il recipiente di cottura che, come abbiamo detto, può essere ovale o rotondo, ha una profondità e uno spessore leggermente superiori a quello del tajine, e come questo è fatto di terracotta smaltata. La preparazione è abbastanza semplice e tutto sommato veloce: sul fondo del tagra viene dapprima steso un intreccio di rametti di prezzemolo e coriandolo (nelle proporzioni, variabili, dettate dal capriccio del cuoco) che ha lo scopo di impedire al pesce di attaccarsi al fondo del recipiente, e su questo letto di foglie si depositano a strati pesci e verdure di stagione; il tempo di cottura, nel forno a legna o sui carboni ardenti, non supera i trenta minuti. Le verdure non sono obbligatoriamente presenti, mentre quella che non può assolutamente mancare, e che conferisce al tagra il suo aroma ricco e inconfondibile, è la chermoula: una marinata tipica della cucina marocchina ricavata pestando in un mortaio aglio (molto), spezie (piccanti) ed erbe aromatiche (fresche) in proporzioni che variano secondo la stagionalità, il gusto del cuoco e le usanze locali. Se la chermoula è destinata a condire un tagra, oltre all’olio sarà necessario aggiungere anche aceto o (meglio) limone, molto spesso con la sua buccia. La preparazione della chermoula è senz’altro quella che richiede più attenzione e tempo, anche perché, prima di andare a formare gli strati all’interno del tagra, occorrerà depositare su una metà dei filetti la nostra marinata e poi coprire il tutto con l’altra metà dei filetti: è questa sorta di farcitura a garantire, anche in assenza delle verdure, che come abbiamo detto sono facoltative, un risultato morbido e succulento. Ad ogni buon conto, nel tagra che noi dell’allegra Brigata di Cucina del Postalista ci siamo sbafati, le verdure c’erano: peperoni, cipolle e melanzane… e la chermoula, su nostra precisa richiesta, era bella piccante e ricca di limone; immancabile, a guarnire la pietanza, una generosa manciata di olive verdi... ...una delizia.
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