digressioni gastro - filateliche a cura della Brigata di Cucina del Postalista |
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TÔ CON SALSA DI GOMBO | |||
Burkina Faso, 25 giugno 2009, Yvert 1359 | |||
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Se l’Asia è il continente del riso, l’America quello del mais e l’Europa, con tutto il bacino mediterraneo, quello del grano, in Africa il cereale che fin dalla più remota antichità ha sfamato le popolazioni è senz’altro il miglio. Non a caso, tra i dieci maggiori produttori mondiali troviamo ben sette paesi africani, con il relativamente piccolo Burkina Faso ad occupare la settima posizione. Ed è appunto per le strade di Ouagadougou, che del Burkina Faso è la capitale, che l’allegra Brigata di Cucina del Postalista va girovagando di trattoria in chiosco, di caffè in ristorante per assaggiare quello che per i burkinabé è una sorta di piatto nazionale: il tô con la salsa di gombo; e assaggiarlo anche nella sua versione moderna, che prevede anche l’uso di una percentuale più o meno consistente a seconda anche dell’andamento dei raccolti, di farina di mais. Con la farina di mais, o meglio, con uno dei più famosi prodotti culinari che dal mais si ottengono, il tô ha infatti molto in comune, dato che la sua preparazione assomiglia in tutto e per tutto a quella della polenta: la farina viene fatta infatti bollire in acqua salata rimestandola continuamente fino ad ottenere la consistenza giusta per la ricetta che si sta preparando. Se si tratta di una zuppa, il risultato sarà molto simile al nostro semolino, mentre nel caso del tô si arriverà ad una consistenza appena un po’ più liquida di quella della nostra polenta, per poi formare con la pasta delle specie di frittelle dalla forma leggermente allungata, che saranno poi disposte nel piatto di portata. A parte viene intanto preparata la salsa di gombo. Il gombo, noto anche col nome di okra, è il frutto di una pianta diffusa in tutta l’Africa e si presenta come una capsula dalla forma di piramide a pianta pentagonale. Raccolta quando è ancora verde, si presta al consumo sia da crudo che dopo la cottura. Ha un sapore caratteristico e una consistenza, soprattutto dopo la cottura, mucillaginosa, che lo rendono generalmente sgradito ai palati occidentali, ma che è molto apprezzato da queste parti. La salsa si prepara facendo stufare a fuoco bassissimo per una ventina di minuti i gombo tagliati a pezzi in olio di cocco; trascorso questo tempo si aggiunge allo stufato un battuto finissimo di cipolle e soumbala. Con il termine soumbala si indicano i semi dell’albero del neré bolliti, riuniti a formare piccole palline e lasciati fermentare in modo che alla loro piccantezza moderata si aggiunga anche una nota acida e penetrante: un altro sapore, quello del soumbala, che può risultare poco invitante a chi lo assaggia per la prima volta. Dopo l’aggiunta del misto di cipolle e soumbala la cottura continua per una decina di minuti, fino ad ottenere una consistenza, grazie alla presenza del gombo, alquanto mucillaginosa e un sapore, e questo si deve anche alla soumbala, deciso e penetrante, con un marcata nota di piccante. In famiglia, così come in certi locali popolari, i due vassoi contenenti le frittelle di tô e la salsa vengono posti al centro della tavola, e i commensali si servono prendendo con la mano una frittella che usano come una sorta di cucchiaio per prelevare la giusta, secondo il loro gusto personale, quantità di salsa. Nei locali dove si è avventurata la Brigata di Cucina del Postalista è invece comune veder servire ad ogni commensale un piatto di tô e una tazza contenente la salsa di gombo che, in certi casi, si ha la sorpresa di trovare fluida, ma non mucillaginosa: è un segreto di alcuni cuochi che, soprattutto nei posti frequentati da non burkinabé, cercano in tal modo di rendere più bene accetta la loro pietanza. Abbiamo apprezzato lo sforzo, ma dopo la prima serie di assaggi, ci eravamo ormai abituati alla consistenza del tô con la salsa di gombo tradizionale, che dopo un iniziale disorientamento, come dicono da queste parti… ya noogo: è buono.
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