digressioni gastro - filateliche
a cura della
Brigata di Cucina del Postalista

manaqish
Libano, 17 luglio 2020, Yvert 662
 
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Raggiunte le mitiche colonne d’Ercole, dopo una bella mangiata di tagra l’allegra Brigata di Cucina del Postalista, a differenza dell’Ulisse dantesco, pone le sue prore nel mattino e fa rotta decisamente verso levante, attraversando il nostro meraviglioso e tormentato Mediterraneo in tutta la sua larghezza per prendere terra in Libano.

Sbarchiamo nell’antica città portuale di Tiro di buon mattino, giusto in tempo per concederci una stuzzicante colazione a base di manaqish, e del resto è proprio la curiosità di assaggiare queste focacce, che sono uno degli emblemi della cucina levantina, ad attirarci qui.

Manaqish è il plurale della parola manousheh, che figura in effige al nostro francobollo, e deriva dalla radice verbale araba naqasha: scolpire, cesellare, incidere; il tutto riferito al gesto di creare con la pressione dei polpastrelli tante piccole incavature, destinate a “prendere” il condimento, sulla superficie dei dischi di pasta lievitata prima di metterli in forno. Perché questo sono le nostre manaqish: una sorta di pizza (o forse sarebbe più giusto dire che la pizza è una sorta di manousheh, visto che di manaqish si parla già in testi antichissimi) che costituisce il piatto forte delle colazioni levantine.

La versione più comune sono le manaqish bi-l za’tar, condite con una salsa di olio di oliva e timo essiccato (za’tar è appunto il timo) e spesso altri aromi come maggiorana, origano, sumak e semi di sesamo. La focaccia così ottenuta, a volte farcita con modiche quantità carne macinata, si consuma tagliata a spicchi, esattamente come una pizza, o ripiegata su se stessa come una piadina, con l’accompagnamento di un bel bicchiere di tè alla menta… e la colazione è fatta.

Esistono però diverse varianti, come la jubna, dove alla salsa di olio e timo viene aggiunto anche del formaggio, di solito l’akkawi, proveniente dalla storica città di Acri, poco distante da qui, benché al di là del tormentato confine con Israele, o il kashkaval. Oppure le kishk, condite con l’omonimo condimento a base di yogurt e grano saraceno essiccati e finemente macinati, o le fulayfala, arricchite con piccantissimo peperoncino.

E ci sono infine le sfiha, più adatte ad un rapido pasto che a una colazione, perché condite con carne d’agnello macinata e aromatizzata con lo stesso mix di aromi a base di timo, e spesso servite con l’accompagnamento di vari stuzzichini, come piccoli ravanelli, olive in salamoia, pezzetti di formaggio simile alla feta greca, ceci tostati e via stuzzicando…

...e siccome, passeggiando e assaggiando, sul lungomare di Tiro si è ormai fatta ora di pranzo, l’allegra Brigata di Cucina del Postalista conclude questa sua mattinata libanese con una bella manousheh sfiha… che sembra proprio quella che ci presenta il nostro francobollo.

 

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