digressioni gastro - filateliche a cura della Brigata di Cucina del Postalista |
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riso alla cantonese | |||
Macao - Singapore, 4 luglio 2008, Michel 1579 | |||
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Ai secolari rapporti commerciali che hanno legato, e talvolta messo in sanguinoso conflitto, l’impero cinese e quello britannico il riso "alla cantonese" deve il suo nome e la sua popolarità in occidente. Per decenni, o forse addirittura secoli, dire “cucina cinese” ha fatto immediatamente venire alla mente di noi occidentali una bella scodella di riso bollito e poi fatto saltare nel popolare wok, la tradizionale padella cinese, insieme a pisellini, uova strapazzate, prosciutto cotto, cipollotti e, nelle varianti più ricche, gamberetti: il tutto generosamente innaffiato con salsa di soia. Ebbene, l’allegra Brigata di Cucina del Postalista stupirà oggi le due dozzine scarse di suoi affezionati lettori raccontando la vera storia di questa autentica icona della cucina cinese che, tanto per cominciare, i cinesi non chiamano “cantonese”, perché in realtà della città di Guangzhou non è originario… e svelando che prosciutto e salsa di soia non c’entrano niente. A Canton, nel suo porto, o in uno dei tanti approdi che il delta del fiume Zhujiang, il “fiume delle perle”, offriva ai mercanti di tutte le parti del mondo avvenne semplicemente l’incontro tra le tante ricette di riso fritto delle quali la cucina cinese è ricca e le papille gustative degli occidentali. E la lunga avventura coloniale inglese di Hong Kong ha rafforzato questa conoscenza e ha permesso che la fama del nostro riso “alla cantonese”, anche per il tramite delle tante China Town che sono andate fiorendo nelle metropoli europee, Londra in particolare, raggiungesse ogni angolo d’Europa e d’America. Dove nasce dunque il riso “alla cantonese”? Ben 1500 chilometri più a nord, addirittura non lontano da Shanghai, e più esattamente nella città di Yangzhou, e se ne attribuisce l’invenzione ad un calligrafo dell’era Qing, Yi Bingshou; il che spiegherebbe tra l’altro il delicato e senz’altro piacevole aspetto di questo piatto. In realtà è molto più facile pensare che si tratti solo di una maniera di riciclare gli avanzi del giorno prima, conosciuto forse da secoli, al quale l’artista, che era anche magistrato della città di Yangzhou, avrebbe aggiunto le uova strapazzate. Uova che, piccola curiosità, possono essere aggiunte, ben sbattute, al riso e agli altri ingredienti prima di saltare il tutto nello wok, e allora si parlerà di riso “dorato” (è quello del francobollo), oppure strapazzate a parte e aggiunte solo un attimo prima di servire, e questo è il riso “argentato”, più comune dalle nostre parti. In ogni caso, il riso deve essere cotto (bollito o al vapore) almeno un giorno prima e poi lasciato riposare prima di saltarlo nel wok, il che corrobora l’ipotesi del riciclo degli avanzi. Gli altri ingredienti, oltre alle uova, sono largamente variabili, ma ci sono sempre senz’altro l’aglio, i piselli (a volte i delicatissimi snow peas, tutti buccia), i cipollotti, le carote e il char siu, cioè carne di maiale arrostita a fuoco lento dopo una lunga marinatura in miele, polvere “delle cinque spezie”, e salsa di soia. A parte la marinatura, la salsa di soia (che noi occidentali abbiamo l’abitudine di aggiungere al riso) non è contemplata nella ricetta originale. Il char siu può essere sostituito, o più spesso affiancato, da cubetti di carne di pollo, gamberi o polpa di granchio. Mai, in nessun caso, a Yangzhou vedrete usare il prosciutto cotto, i chicchi di mais e, orrore, il bacon affumicato che purtroppo infestano, insieme alla sopracitata salsa di soia, il riso “alla cantonese” di molti fast-food occidentali: diciamo che per i cinesi sarebbe l’equivalente di quella che per noi italiani è la pizza con l’ananas o il groviera grattugiato sugli spaghetti con la pommarola... |
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