digressioni gastro - filateliche a cura della Brigata di Cucina del Postalista |
|||
cioccolato di modica | |||
Italia, 15 ottobre 2020, Yvert 3997 | |||
torna a Filatelia Tematica |
Dell’arrivo in Europa del xocoatl azteco l’allegra Brigata di Cucina del Postalista si è già occupata, narrando le varie fasi dell’adattamento di quella che ai primi conquistadores sembrò solo una “scura brodaglia nauseabonda”, e individuando nella Torino di fine ‘700 il momento magico in cui l’incontro tra il millenario “cibo degli dei” mesoamericano e la rivoluzione industriale europea diede i natali ai primi cioccolatini e alle prime barrette industriali. Eppure il cioccolato, in Europa, ci era arrivato in barre, perché la cioccolata liquida che già nella prima metà del ‘500 aveva cominciato a riscuotere i favori di regnanti e nobili si preparava a partire da una pasta di fave di cacao macinate facendo scorrere una sorta di mattarello di pietra sopra una grossa pietra di origine lavica che gli aztechi chiamavano metate: la pasta così ottenuta veniva poi modellata in forma di barre. Era questo impasto che, sciolto in acqua calda e aromatizzato con peperoncino e spezie andava a costituire il “cibo degli dei”, e che in Europa, addolcito con miele, zucchero (di cui gli aztechi ignoravano l’esistenza) e altre essenze, deliziava il palato delle dame dell’alta società. A tenere le fila del commercio delle preziose barre erano naturalmente gli spagnoli, che in Europa le avevano importate e avevano anche introdotto in alcune zone del loro regno la lavorazione delle fave di cacao, effettuata secondo le modalità che avevano appreso dagli aztechi. Tra i centri dove queste attività si affermarono ci furono le Canarie, l’Aragona, la Maragateria e la contea di Modica, in Sicilia, all’epoca sotto il dominio spagnolo. Si ignora quando e dove, esattamente, a qualcuno venne l’idea di aggiungere direttamente lo zucchero all’impasto, continuando la lavorazione sulla metate fino ad ottenere, anche grazie al riscaldamento della pietra lavica, un impasto morbido e (soprattutto) dolce che, versato in appositi stampi, compattato e lasciato raffreddare finiva col solidificarsi formando barrette che potevano poi essere consumate anche allo stato solido, senza scioglierle in acqua come fino ad allora era stato fatto. Le basse temperature di lavorazione non erano (e non sono) sufficienti a fondere i cristalli di zucchero, e quelle barrette avevano (ed hanno tuttora) la tipica consistenza granulosa e quasi friabile che costituisce ancora oggi la caratteristica più spiccata del cioccolato di Modica. Nasceva così, 200 anni prima dei cioccolatini piemontesi, la prima cioccolata solida destinata a dilettare le papille gustative dei ghiottoni dell’epoca. Oltre allo zucchero, si è affermata in tempi più recenti l’usanza di aggiungere anche altri aromi e sapori: inizialmente, secondo Leonardo Sciascia, solo cannella e vaniglia, e poi anche zenzero, pistacchio di Bronte o peperoncino (usato del resto già gli aztechi), oppure scorze di limoni o arancia. Nel 2018 il cioccolato di Modica ha ottenuto dall'Unione Europea il riconoscimento di Indicazione Geografica Protetta (IGP). Ai giorni nostri, con pochi cambiamenti dovuti essenzialmente alla necessità di evitare la formazione del velo bianco causato dall’affioramento del burro di cacao, le tecniche di produzione sono rimaste quelle del XVI secolo, e se volete averne una breve dimostrazione vi basterà inquadrare con il vostro smartphone il codice QR che si trova nell’angolo superiore destro del nostro francobollo: seguendo il link in esso contenuto potrete godervi un breve filmato a cura del Consorzio per la Tutela del Cioccolato di Modica… ...noi dell’allegra Brigata di Cucina del Postalista, che abbiamo già parlato fin troppo, passiamo direttamente alla degustazione. |
||
torna a Filatelia Tematica |