digressioni gastro - filateliche a cura della Brigata di Cucina del Postalista |
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bredie | |||
Sud Africa, 1° maggio 2004, Yvert 1292 | |||
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Non uno ma cinque sono i piatti che questa volta l’allegra Brigata di Cucina del Postalista è andata per voi ad assaggiare all’estremo sud del continente africano. Ci siamo spinti infatti fino a quel capo che Bartolomeu Dias chiamò “delle Tempeste” e che fu in seguito ribattezzato, anche grazie all’epica circumnavigazione dell’Africa capitanata da Vasco de Gama, “di Buona Speranza”. La “buona speranza”, nell’ottica di re Giovanni II del Portogallo, era quella di stabilire una rotta che facilitasse i contatti commerciali con i porti dell’Estremo Oriente, e su quella rotta presto navigarono anche inglesi e olandesi. Furono questi ultimi a stabilire una colonia nella zona del Capo, e furono sempre i coloni boeri ad importare, nei secoli successivi, mano d’opera a basso costo dalle altre colonie stabilite in Asia e in Oceania. “Mano d’opera a basso costo”, in questo contesto è solo un eufemismo per indicare intere popolazioni ridotte in schiavitù in Indonesia e in Malesia (o in India, ma lì i “colonizzatori” erano inglesi) e trasferite forzatamente in Sud Africa per costituire una sorta di classe intermedia tra i bianchi colonizzatori e la popolazione nera locale e malgascia, trattata alla stregua di bestiame da lavoro. Qualche secolo più tardi, in epoca post-apartheid, il governo sudafricano ha ritenuto doveroso rendere omaggio in qualche modo anche a questi popoli che, sia pure in condizioni di subalternità, hanno fatto la storia e la fortuna del Sud Africa. E il francobollo che vi presentiamo, emesso nel 2004 per la serie “Cibo Tradizionale - L’eredità degli schiavi”, è uno di questi omaggi. I cinque piatti in esso rappresentati possono essere infatti definiti come il punto d’incontro tra le tradizioni della Malesia e dell’Indonesia (paesi dai quali provenivano quelli che oggi sono conosciuti come Cape Malay, i Malesi del Capo), le usanze dei coloni boeri (come si definiscono gli olandesi colonizzatori, insieme agli inglesi, del Sud Africa) e i sapori delle spezie africane autoctone. Si comincia con il bredie, dal quale questo articolo prende il nome… è uno stufato di montone accompagnato da verdure di stagione, e il nome pare derivare dal creolo portoghese bredos (parlato nell’area dell’Oceano Indiano come una sorta di lingua franca) che significa appunto “verdure commestibili”: se ne conoscono almeno tre varianti, a seconda appunto delle verdure (cavolo, pomodori, patate, erbaggi misti) disponibili sul mercato. Subito dopo vengono i sosaties, spiedini di agnello, albicocche e cipolle dolci accompagnati da svariate salse al curry: il loro nome deriva dal malese satay (spiedino) e preceduto dall’olandese saus (salsa). Si continua con il bobotie, un pasticcio di carne di manzo piccante, insaporito da curry, chutney, cardamomo e altre spezie tipiche del subcontinente indiano… una delizia per i palati che sanno apprezzare il gusto bruciante tipico di certe pietanze indiane. Poi, per addolcirsi la bocca, una fetta di melktert per dessert: è una torta di latte, come dice il nome olandese stesso, che non ha bisogno di essere messa in forno, presumibilmente approdata nella regione del Capo con i portoghesi e in seguito riadattata dai boeri e dai loro schiavi. E per finire in bellezza, le koeksisters, alla lettera "sorelle dolci", dove le "sorelle" sono due strisce di pasta intrecciate tra di loro e fritte, per poi essere immerse, appena estratte dall’olio bollente, in miele o sciroppo di frutta ghiacciati. Un menù robusto, ricco di sapori e sostanza che non poteva che soddisfare pienamente le bocche e gli stomaci della vostra affezionatissima Brigata di Cucina.
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