digressioni gastro - filateliche a cura della Brigata di Cucina del Postalista |
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camembert | |||
Francia, 26 maggio 2003, Yvert 3562 | |||
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Se nell'immaginario collettivo degli europei il francese medio è visto come un divoratore di baguettes et camembert, una ragione c'è. E più che gastronomica, è una ragione storica, o per meglio dire, militare: le razioni dei soldati francesi impegnati nel primo conflitto mondiale contenevano infatti un pezzo del formaggio destinato a diventare uno degli emblemi della Francia a tavola. Eppure, contrariamente a quanto in molti paesi europei si crede, è il Camembert ad essere una variante del meno famoso, ma ugualmente buono, Brie. Pare infatti che ad "inventare" questo formaggio vaccino a pasta molle e crosta fiorita prodotto in Normandia, e precisamente nel piccolo comune di Camembert (meno di 250 abitanti), sia stata appunto una villageoise, una abitante del paesino, che nel 1791 aiutò a nascondersi un prete ricercato perché si rifiutava di sottostare alla Costituzione Civile del Clero imposta dopo la Rivoluzione Francese del 1789. Ebbene, si dice che il reverendo Charles-Jean Bonvoust, originario della regione della Brie, abbia voluto sdebitarsi con Marie Harel svelandole il procedimento di produzione del già molto apprezzato formaggio Brie. Questo segreto consentì di migliorare notevolmente la qualità del formaggio che fino ad allora si produceva nella regione dell'Auge, e che era comunque già citato in numerosi testi cinquecenteschi. Il formaggio di Camembert, che rispetto al Brie ha un tenore di grassi più elevato ed un sapore più pungente (al punto che molti ne sono disturbati) incontrò il favore di Napoleone III, che se lo faceva consegnare direttamente alle Tuileries, facendolo così conoscere e apprezzare all'alta società parigina. La relativa vicinanza con la capitale, che ne rendeva possibile il trasporto in tempi per l'epoca molto rapidi, fece il resto, e ben presto il Camembert si conquistò una rilevante fetta di mercato. Quello che una volta era il "segreto del prete refrattario" è oggi un disciplinare di produzione severo, intorno al quale è stata negli anni scorsi combattuta una battaglia a livello europeo. Per fare il vero Camembert infatti il latte deve essere crudo (il che vuol dire che la sua temperatura non deve mai, durante le fasi di produzione, superare i 37°C), e questo non va molto a genio a certi burocrati igienisti. Dopo l'aggiunta di batteri mesofili, il latte crudo viene fatto cagliare e quindi tagliato in forme circolari del diametro di circa 11 centimetri. Una volta fatto scolare il siero, i dischi di formaggio vengono trasferiti nei caratteristici contenitori, costruiti rigorosamente con legno di pioppo, e sulla loro superficie si praticano alcune incisioni parallele che permetteranno al sale di penetrare più facilmente all'interno. Cosparse infine di una soluzione contenente una muffa (il Penicillium Candidum, che però da queste parti viene chiamato Penicillium Camemberti) che conferirà al prodotto finale la conosciutissima superficie bianca e setosa, le forme sono pronte per la stagionatura. Questa deve durare almeno tre settimane, al termine delle quali il nostro Camembert avrà acquisito la sua consistenza interna cremosa e il suo aroma pungente. Tempi di stagionatura più lunghi rendono sapore e profumo ancora più intensi, mentre la colorazione della crosta tende al giallastro e il formaggio diventa così cremoso da perdere quasi la sua forma: è il Camembert affiné, croce dei palati (e dei nasi) più delicati e delizia imperdibile dei ghiottoni… tra i quali, naturalmente, ci siamo anche noi dell'allegra Brigata di Cucina del Postalista. In conclusione, una piccola curiosità: lo sapevate che la Francia ospita il più gran numero di tirosemiofilisti? Sono i collezionisti di etichette e scatole di formaggi, ed è superfluo precisare che il grosso delle collezioni (alcune superano i 100.000 pezzi) è costituito da vecchi involucri di Camembert. |
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